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 2015  giugno 11 Giovedì calendario

C’era una volta un Maroni solidale che quando parlava di clandestini, parlava di «una grave emergenza umanitaria», di «centri d’accoglienza sparsi in tutto il paese» di «condivisione dei problema» e si stupì quando l’allora presidente della Lombardia Formigoni gli si mise di traverso: «Mi sembra strano che la più grande regione d’Italia non sia in grado di fare quello che fanno il Molise e la Basilicata». Poi però è successo che lo hanno eletto governatore, e la colomba è diventata un falco

Sarà sicuramente come dice il governatore della Lombardia, Roberto Maroni, e cioè che «rispetto al 2011 il problema è tutt’altra cosa»: è una questione di quantità poiché al tempo i rifugiati erano quarantamila e oggi «sono più del triplo». Ma il Roberto Maroni di allora, ministro dell’Interno, si esprimeva con una dolcezza e una saggezza su cui, sospettiamo, il Roberto Maroni di oggi avrebbe qualcosa da ridire. «Tra poco incontrerò le regioni cui ho proposto un piano per la distribuzione equa dei migranti in base al numero di abitanti: spero nella solidarietà di tutte le regioni, così come invocato anche dal capo dello Stato», disse il ministro Maroni nel marzo del 2011 nel corso di un question time a Montecitorio. Forse Matteo Salvini ci farebbe sopra una felpa, forse qualche altro guerriero leghista annoterebbe l’ipocrisia nell’uso «buonista» del termine «solidarietà», oppure nella boldrinizzazione del Viminale così politicamente corretto coi suoi «migranti», inteso participio. E però Maroni ci dava dentro, in alcune dichiarazioni al Giornale spiegava che i governatori, leghisti o no, erano tenuti a ubbidire senza tante storie: «Atteggiamenti di rifiuto non possono essere giustificati. È un’emergenza grave che richiede il concorso di tutte le regioni», «nessuno può chiamarsi fuori», nemmeno «le regioni amministrate dalla Lega». Lui, il Maroni di allora, aveva «un approccio istituzionale» e non si faceva «condizionare dalla campagna elettorale o dal mio partito».
L’approccio istituzionale lo aveva spinto a definire il «piano per i clandestini» la risposta a «una grave emergenza umanitaria», ma non aveva convinto Umberto Bossi, che spingeva a procedere «con cautela», mentre il governatore del Veneto, Luca Zaia, si professava «solidale con i profughi» ma invitava a distinguerli dai clandestini per i quali l’unica soluzione era «il rimpatrio»; intesa perfetta con il governatore di sinistra dell’Emilia Romagna, Vasco Errani, in una miracolosa convergenza progressist-leghista: «L’accordo con il governo riguarda soltanto i profughi, le regioni non hanno invece affatto condiviso le tendopoli per gli immigrati irregolari: quella è una scelta del governo».
Ecco, tutto questo è stato scritto con la premessa che sapete: «Rispetto al 2011 il problema è tutt’altra cosa». Chissà invece quali differenze ci separano dal 2009, anno in cui, intanto che inaugurava la nuova caserma dei vigili del fuoco della Spezia, il ministro Maroni disse: «Dobbiamo aumentare la disponibilità dei posti per i clandestini (non profughi, clandestini, ndr) perché non si può da una parte chiedere che tutti i clandestini vengano espulsi e dall’altra dire no a nuovi centri». Si stava lavorando perché «nei prossimi anni tutte le regioni abbiano un centro di accoglienza» e per un motivo semplice, «perché sennò si fa carico a un’altra regione di un problema che deve essere condiviso da tutti».
L’obiettivo era di avere più centri per accelerare le espulsioni, ma molti governatori erano perplessi nel timore che i centri si sarebbero fatti e le espulsioni no, come poi si è visto nel 2011, data in cui a mettersi di traverso fu soprattutto Roberto Formigoni, presidente lombardo; e lì il successore, che ancora non sapeva di essere tale, non ci vide più: «Mi sembra strano che la più grande regione d’Italia non sia in grado di fare quello che fanno il Molise e la Basilicata». In ogni caso i lampedusani avevano da stare tranquilli, «il governo ha deciso di farsi carico del grave disagio dell’isola definendo misure compensative di carattere economico e strutturale per compensare gli abitanti di quanto stanno subendo». E nonostante l’egoismo lombardo.