la Repubblica, 11 giugno 2015
Lo zar in Vaticano. Putin racconta le sue verità a Papa Francesco. I due parlano del trattato di non proliferazione nucleare ma soprattutto di sacerdoti impediti. Ovvero quei vescovi a cui il regime ateo e comunista impediva di dire messa, tenendoli in molti casi agli arresti domiciliari. Così il presidente russo sa combinare il “soft power” in Occidente con l’“hard power” in Ucraina
«Noi siamo aperti, e speriamo di aprire».
Così Agostino Casaroli si congedò da una pattuglia di cronisti che lo assediava all’aeroporto Sheremyetevo.
All’allora segretario di Stato i giornalisti volevano sapere lo scopo della sua storica visita a Mosca all’inizio degli anni 70.
La motivazione ufficiale di quel singolare viaggio era la firma del trattato di non proliferazione nucleare, di cui il Vaticano era uno dei promotori. Ma altri erano i veri obiettivi: un tentativo di trovare un’intesa con l’Urss sul problema dei “sacerdoti impediti” (tra i quali alcuni vescovi nelle repubbliche baltiche) cui il regime ateo e comunista impediva di dire messa, tenendoli in molti casi agli arresti domiciliari. La visita non finì bene. Casaroli e Achille Silvestrini, ai tempi monsignore e ministro degli Esteri della Santa Sede, furono bruscamente abbandonati in una dacia alla periferia di Mosca dal ministro del Culto dell’Urss, lasciati soli con autisti poco amichevoli nel gelo russo: all’antipasto avevano provato a mostrare una lista di sacerdoti “impediti” e il ministro non l’aveva presa bene.
Oggi sarebbe impensabile che la visita di un segretario di Stato vaticano nella Russia di Putin finisse così. I tempi sono molto cambiati e l’ex agente del Kgb si mostra un ortodosso devoto. Ma la filosofia politica del Vaticano è rimasta la stessa di Casaroli, del quale del resto l’attuale segretario di Stato Pietro Parolin è un discepolo: non chiudere mai le porte a nessuno nella speranza che molti le aprano alla Chiesa.
Vladimir Putin ha annunciato di voler raccontare quello che è “davvero” successo in Ucraina. Sulla verità di Putin è lecito essere scettici. In Russia è diventato reato penale parlare dei militari russi caduti sul fronte ucraino: perfino per i parenti delle vittime, che non possono neppure piangere pubblicamente i loro defunti. È tipico delle dittature punire il “disfattismo”. Così come è tipico delle dittature riscrivere la storia. Un recente documentario di Rossiya 1, uno dei canali della tv di Stato russa, ha sostenuto che l’intervento dei carri armati del Patto di Varsavia a Praga, per stroncare la Primavera di Dubcek, si era reso necessario per «salvare quell’alleato da un’aggressione della Nato e da un colpo di Stato». Il governo di Praga ha convocato l’ambasciatore russo almeno per ricordargli che sia Gorbaciov che Eltsin avevano chiesto scusa alla Repubblica Ceca per l’invasione. Ma Putin mai: in fondo anche lui dice di essere intervenuto in Ucraina per evitare che i tentacoli della Nato si allungassero sull’ex repubblica dell’Urss.
Sarebbe dunque molto interessante sapere quale verità ha raccontato Putin a papa Francesco. Tanto più che in questi ultimi giorni i combattimenti nell’area di Donetsk si sono riaccesi fino a un’intensità mai toccata, in flagrante violazione del protocollo di Minsk 2. Ma al Vaticano la “verità” di Putin può anche andar bene. Come ha sottolineato in una conferenza all’Istituto di studi strategici di Londra monsignor Antonio Mennini, oggi nunzio in Gran Bretagna ma per otto anni rappresentante diplomatico della Santa Sede a Mosca, il Vaticano non ha mai parlato di aggressione russa all’Ucraina. Perché, come diceva tanti anni fa Casaroli, “spera di aprire”. Soprattutto sulla vecchia e irrisolta questione della visita di un Papa a Mosca. Con i precedenti presidenti atei e l’ostilità della Chiesa ortodossa russa, ogni progetto di visita era sempre fallito. Ma ora, con un presidente che si professa credente e che ha dato al patriarca ortodosso una rilevanza senza precedenti, chissà? La georeligione ha motivazioni e obiettivi ben diversi dalla geopolitica.
Questa, semmai, riguarda Renzi. Il quale, peraltro, nella conferenza stampa congiunta con Putin, è stato prudente: si è ancorato alla boa della piena realizzazione degli accordi di Minsk per aggirare la trappola delle sanzioni. Forse il presidente del Consiglio si è lasciato andare un filo di troppo nel linguaggio («caro presidente Putin», l’Expo «impreziosito dalla sua presenza»), che è andato al di là del dovuto riguardo all’ospite. E in diplomazia queste sfumature non passano inosservate. Certamente hanno fatto drizzare le orecchie, già apertissime, degli americani, che considerano l’Italia un sorvegliato speciale per i rapporti economici con la Russia.
IL G7 dei giorni scorsi in Germania è stato chiaro e unanime: non se ne parla proprio di togliere le sanzioni, come i russi speravano dopo il vertice di Riga. Anzi se le cose continuano così in Ucraina c’è la possibilità che vengano inasprite. La stessa formula del G7, dopo che era ormai diventato G8 con l’inclusione della Russia, è di per sé una sanzione diplomatica. In conferenza stampa, alla domanda certamente “suggerita” di un giornalista russo, Putin ha mostrato di non aver gradito l’esclusione: ha augurato “successo” al G7 con la stessa faccia con cui il perdente congratula il vincitore alla fine di un match di tennis.
Il presidente russo, che maneggia con grande abilità il “soft power”, ha fatto la sirena con gli imprenditori italiani presenti alla conferenza stampa rammaricandosi per i contratti bloccati dalle sanzioni e addirittura per i “posti di lavoro” perduti in Italia per il mancato avvio dei lavori. Ma il suo rammarico di circostanza e i sorrisi nascondono l’anima nera dell’ex agente del Kgb, abituato a giocare sporco negli anni duri del confronto Est—Ovest. Un documento pubblicato dal “New York Times”, e basato in gran parte su un rapporto del Political Capital Insitute di Budapest, elenca ben 15 partiti di estrema destra di Paesi membri della Ue finanziati dalla Russia per fare propaganda contro l’Europa e contro le sanzioni occidentali. Era quello che faceva Mosca ai tempi della guerra fredda: finanziare i partiti ideologicamente oppositori dei suoi nemici occidentali. Con il paradosso che allora erano partiti di sinistra, oggi sono di destra.
Non c’è nulla di cui scandalizzarsi: fa parte dello scontro politico— ideologico che con Putin si è riaperto. E il presidente russo sa combinare il “soft power” in Occidente con l’“hard power” in Ucraina. Basta esserne consapevoli quando si cerca il dialogo con lui. Che (e su questo punto Renzi ha trovato le parole giuste) nella situazione complicata del mondo di oggi è necessario, anzi indispensabile. Come sapeva fare Henry Kissinger, grande maestro sulla scacchiera della guerra fredda, il Cremlino va sanzionato. Ma non va demonizzato.