Corriere della Sera, 11 giugno 2015
Elogio di Bruxelles. Lì dove si parlano lingue mescolate, si assaggiano sapori mischiati, si ascolta musica diversa, si guarda arte nuova, si mangia in ristoranti affacciati sui monumenti illuminati e si beve il caffè in strade vicino ai parchi. Nella città delle cozze e delle patatine
Ho scoperto di far parte di una setta segreta: quelli che preferiscono Bruxelles a Parigi. A Parigi, quando capita, vado volentieri. A Bruxelles torno sempre con entusiasmo. E tornare è un’attività interessante, perfetta per gli anni in discesa.
Bruxelles, per cominciare, possiede un’alternativa lessicale (Brussels) e una sigla comunemente usata (BXL), come New York (NY) e Los Angeles (LA). Le sigle sono una medaglia al valore: vuol dire che quel nome si scrive molto, e si scrive molto perché conta parecchio. Com’è noto, la città è sede delle istituzioni europee e della Nato. I detrattori dicono che è talmente internazionale da non avere personalità. Non è vero. Diciamo che non possiede una cultura dominante, e permette a tutte le altre di non sentirsi ospiti. Storica capitale del Belgio, ha accettato, senza troppi drammi, di fare un passo indietro. Economia, politica e geografia sono passate sopra le diatribe tra fiamminghi e valloni come l’acqua di un fiume sui cespugli della riva. È mescolata al punto di diventare promiscua, come lasciano intendere certi sguardi nei corridoi. La pianura porta subito a Parigi, un tunnel conduce verso Londra, la voce di chi comanda arriva, sicura, dalla Germania. BXL è nel mezzo e non vuol competere: a suo modo, ha già vinto.
BXL è una città di sorprese: non ti aggredisce con la bellezza, ti convince con la varietà. Ci sono lingue mescolate, sapori mischiati, musica diversa, arte nuova, un aeroporto vicino, ristoranti affacciati sui monumenti illuminati e caffè nelle strade vicino ai parchi. Alla patatine ubique e alle cozze persecutorie si sono aggiunti i gloriosi sapori del mondo. Perfino il Belgio dei «diavoli rossi» s’è messo a giocare bene.
BXL porta i segni di un colonialismo senza pentimenti e ribolle di immigrazioni che dimostrano il contrario. Profuma di Europa giovane che inciampa in snobismi antichi. Sono entrato, ospite lusingato, presso il Cercle Royal Gaulois, classico club per gentiluomini. Giornata a 34 gradi e cravatta obbligatoria. Ho ricordato, con un sorriso aperto come la camicia, che al Reform Club di Londra l’obbligo finisce a 27 gradi, per regolamento. Risposta di chi mi proponeva un prestito: «Per fortuna c’è la Manica di mezzo, monsieur».
Oppure mi piace, Bruxelles, perché ci sono stato da ragazzo e lì ho scoperto, tutte insieme, tre cose che ancora amo molto: l’Europa, gli europei e il mio mestiere. Tutt’e tre un po’ in crisi, ultimamente. Ma passerà.