Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  giugno 11 Giovedì calendario

Le regole dei mari, il diritto di asilo e le possibili soluzioni per risolvere il problema dei rifugiati

 Quale norma del diritto internazionale consente a navi battenti bandiera estera, dopo aver soccorso e salvato in acque internazionali i migranti alla deriva su barconi, di dirigere le prore verso porti italiani anziché verso quelli di bandiera?
Gino Monti
   Sembra che tutti siano d’accordo nel dovere di accogliere i profughi dei Paesi in guerra o governati da regimi che negano le libertà politiche e democratiche. La stessa Costituzione italiana dice: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge». Probabilmente nel 1948 i costituenti non avevano riflettuto sul fatto che, in base a quell’articolo, l’Italia avrebbe dovuto garantire il diritto d’asilo – per esempio – a 200 milioni di cittadini dell’Unione Sovietica se fossero riusciti a trasferirsi. Con tutta evidenza, il principio analogo previsto nella legislazione di molti Paesi occidentali (e dalla Convenzione di Ginevra) partiva dal presupposto che i casi fossero molto limitati.
Alberto Angelucci
Cari lettori,
C redo che la domanda di Gino Monti andrebbe rovesciata. Dovremmo chiedere piuttosto se esista una norma del diritto internazionale che obbliga il comandante di una nave a scaricare il naufrago in un porto del proprio Paese anziché in quello del Paese più sicuro e più vicino. La Gran Bretagna disse subito che avrebbe partecipato alle operazioni di salvataggio con una nave, ma aggiunse che non avrebbe trasportato i profughi sul proprio territorio. Forse non fu generosa, ma non sarebbe giusto dimenticare che il governo britannico è alle prese con un problema non indifferente: quello degli immigrati provenienti dai Paesi dell’Europa centro-orientale che si sono trasferiti nel Regno Unito per approfittare di una politica assistenziale particolarmente liberale. Il numero degli stranieri che vivono nelle isole britanniche è considerevolmente superiore a quello degli stranieri che vivono in Italia.
È vero, caro Angelucci, che la norma sul diritto d’asilo della Costituzione italiana fu scritta pensando agli esuli politici del passato. È comprensibile. Vi erano appena stati i grandi trasferimenti di popolazioni provocati in Europa dalla Seconda guerra mondiale e in Asia dalla divisione dell’India britannica in due Stati indipendenti; ma nessuno poteva immaginare quali sarebbero state, 60 anni dopo, le condizioni dell’Africa del nord, del Medio Oriente, dell’Asia centrale e dell’Africa a sud del Sahara. Non potevamo sapere, nel 1948, che la dissoluzione dello Stato sovietico, le guerre americane in Iraq e in Afghanistan, le rivolte arabe, l’intervento anglo-francese in Libia e il fallimento della decolonizzazione in molti Paesi africani avrebbero acceso parecchie dozzine di fuochi che ardono contemporaneamente e costringono alla fuga milioni di uomini e donne. Non avevamo previsto che il progresso delle telecomunicazioni e dei trasporti avrebbe enormemente avvicinato gli abbienti ai non abbienti rendendo la condizione dei primi molto più visibile e invidiabile agli occhi dei secondi.
Un problema di tali dimensioni non si risolve con le formule semplicistiche care ai partiti populisti e agli uomini politici in caccia di voti. Gli ingredienti di una possibile soluzione sono noti. Occorre meglio distinguere gli immigrati sociali dai perseguitati. Occorre che l’Europa dia prova di una maggiore solidarietà. Occorre lavorare alla soluzione della crisi libica e di quella siriana. Occorre coinvolgere maggiormente i Paesi dell’Africa del Nord con i sussidi promessi da Bruxelles (6.000 euro per ogni rifugiato, come ricorda Giovanna Zincone su La Stampa dell’8 giugno). Ma occorre anche un altro attore a cui non è facile dare ordini: il tempo.