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 2015  giugno 11 Giovedì calendario

La via di Londra alla Ue. Philip Hammond, ministro degli esteri britannico, spiega come riavvicinare i cittadini all’Unione: «Dobbiamo dotarla di strumenti più adatti perché possa realizzare crescita e occupazione. L’appartenenza all’Ue ha chiaramente giovato al Regno Unito in alcuni ambiti. In altri, però, ha portato a una perdita di sovranità e a un aumento degli oneri per le imprese: due fattori che hanno fatto scendere ai minimi storici il consenso»

In tutto il continente, negli ultimi anni i partiti che si oppongono all’Ue hanno guadagnato molto terreno, nelle elezioni locali, nazionali ed europee. Dobbiamo reagire rendendo l’Ue più democratica e dotandola di strumenti più adatti perché possa contribuire a realizzare crescita e occupazione, come si aspettano i cittadini europei.
L’Unione Europea è radicalmente cambiata rispetto all’epoca in cui il Regno Unito è entrato a farne parte. La caduta della cortina di ferro ha portato all’allargamento dell’Ue, con l’ingresso di 16 nuovi Stati membri; è nato l’euro e oggi le regole Ue disciplinano le nostre attività in un ambito vastissimo, che spazia dall’ambiente alle politiche sociali. L’appartenenza all’Ue ha chiaramente giovato al Regno Unito in alcuni ambiti. In altri, però, fare parte dell’Unione ha portato a una perdita di sovranità nazionale e a un aumento degli oneri burocratici per le imprese: due fattori che hanno fatto scendere ai minimi storici il consenso dei cittadini britannici per la permanenza nell’Ue.
Cosa intende quindi ottenere il governo britannico con questi negoziati? Per ristabilire la fiducia dei cittadini britannici nei confronti dell’Unione, dobbiamo lavorare con i nostri partner per concordare un pacchetto di riforme grazie al quale l’Ue potrà essere all’altezza delle sfide del XXI secolo; riforme che gioveranno non solo al Regno Unito ma a tutti i 28 Stati membri.
In primo luogo, per quanto riguarda la crescita e l’occupazione, la scomoda verità è che il tasso di crescita dell’Ue è notevolmente inferiore a quello necessario a ridurre la disoccupazione a livelli accettabili e che oggi perdiamo il confronto non solo l’Asia, ma anche con gli Stati Uniti. Se vogliamo mantenere l’attuale tenore di vita di cui godiamo in Europa, dobbiamo fare in modo che le nostre imprese possano competere più efficacemente nel mondo rafforzando il mercato unico, in particolare nei settori dei servizi, del digitale e dell’energia. Dobbiamo essere aperti al commercio globale e completare gli accordi di libero scambio con gli Stati Uniti, il Giappone e le altre economie sviluppate, ma anche con le economie in rapida crescita dell’Asia e del Sudamerica.
In secondo luogo, le riforme che vogliamo permetteranno ai Paesi che lo desiderano di realizzare una maggiore integrazione, pur nel rispetto degli interessi di coloro che scelgono di non farlo. Ciò vale, più che in ogni altro ambito, per quanto riguarda l’eurozona: il Regno Unito non desidera impedire un’ulteriore integrazione tra i Paesi che adottano l’euro, e anzi, la sostiene, ma chiede che gli interessi di coloro che non ne fanno parte siano tutelati. Questa visione di un’Europa fondata su due pilastri, con un rapporto chiaro tra membri dell’eurozona e Paesi che non ne fanno parte, all’interno di un mercato unico e con in comune le stesse istituzioni, si fonda sull’attuale struttura di Schengen e dell’Unione bancaria e accontenta tutti. Essa permette infatti di proseguire sulla strada dell’integrazione dell’eurozona, rispettando gli interessi di chi non ne fa parte, oltre a riconoscere che, anche se l’idea di un’unione sempre più integrata è appetibile per alcuni, non è positiva per tutti.
Terzo, a nostro avviso i parlamenti nazionali devono avere più voce in capitolo, sia nell’avvicinare i cittadini ai processi decisionali dell’Unione, sia nella corretta attuazione del principio di sussidiarietà, in base al quale le decisioni vanno prese al livello più vicino possibile ai cittadini su cui influiscono. Troppo spesso l’Ue ha esercitato poteri in ambiti in cui le decisioni si sarebbero potute prendere a livello nazionale, regionale o locale senza conseguenze per il mercato unico o per il funzionamento dell’Unione. Vogliamo rafforzare il ruolo dei parlamenti nazionali, per esempio, dando loro in futuro la possibilità di coordinarsi tra loro per bloccare normative indesiderate. L’Ue deve rispettare le istituzioni più vicine ai cittadini e da essi più direttamente controllabili. Concordiamo con quanto afferma il governo olandese quando parla di «Europa se necessario, nazionale se possibile».
Da ultimo, pur riconoscendo che la libera circolazione degli individui a scopo lavorativo è una delle quattro libertà fondamentali dell’Ue e anche se questi negoziati non intendono limitarla, desideriamo proteggere dagli abusi il sistema di welfare britannico e ridurre gli incentivi che incoraggiano i lavoratori altamente qualificati a trasferirsi nel Regno Unito per svolgere lavori poco qualificati. Ciò danneggia la crescita economica nel loro Paese d’origine e la fiducia nell’equità della libera circolazione nei Paesi destinatari. Dobbiamo anche sviluppare le altre libertà, in particolare la libera circolazione dei servizi e dei capitali.
Negozieremo un pacchetto di riforme e chiederemo poi al popolo britannico di esprimersi, in un referendum chiaro e semplice, «dentro o fuori», entro la fine del 2017, o anche prima se possibile. La posta in gioco è alta: il Regno Unito è un’economia grande e aperta con una lunga storia e un ruolo importante sulla scena mondiale, che può dare un notevole contributo al successo dell’Europa. Se riusciremo a risolvere le questioni che hanno tanto a lungo e profondamente preoccupato il popolo britannico e a giungere a un «sì» nel referendum, daremo una risposta definitiva alla domanda sul posto del Regno Unito in Europa.