la Repubblica, 11 giugno 2015
«I social danno diritto di parola a legioni di imbecilli». Lo dice Umberto Eco dall’aula magna della Cavallerizza Reale a Torino: «La tv aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. Il dramma di Internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità»
In toga e tocco, jeans e calzini arcobaleno, Umberto Eco è tornato all’Università di Torino per prendersi una seconda laurea, 61 anni dopo la prima. «È la mia madeleine proustiana, va bìn, adesso fatemi salutare i vecchi compagni di scuola». E non erano mica pochi, capelli bianchi e sorrisi adolescenti, venuti ad abbracciare l’amico, il compagnone, il più importante intellettuale italiano. «Umberto era un genio già allora», dice uno di loro, emozionatissimo. E negli occhi del professore brillano scintille. Ovvio che la laurea honoris causa (la quarantunesima della serie) sia in “Comunicazione e culture dei media”, disciplina che non solo Eco ha sezionato e divulgato, ma proprio inventato. «Veramente, per una volta avrei preferito laurearmi in fisica nucleare oppure in nanotecnologie, però si prende quel che passa il convento ». Ha voglia di giocare, il professore, anche quando parla di linguaggio. «Per sua natura cambia nel tempo, era così anche prima di Internet. Oggi, semmai, si dicono più parolacce in politica, non so se sia un declino della politica o delle parolacce ». Addirittura sulfureo nella sua lectio magistralis, “Conclusioni sul complotto da Popper a Dan Brown”, con relativa demolizione delle «panzane sul Priorato di Sion, sul matrimonio tra Gesù Cristo e la Maddalena e sugli introvabili riferimenti geografici », il professore ha poi espresso la sua idea sulla Rete e Twitter. Chiara. Chiarissima. «Internet è l’humus delle bufale. La scuola dovrebbe insegnare a distinguerle, oppure a copiare usando almeno dieci siti. Wikipedia? Ma quella va ancora bene… Ed anche i giornali, minacciati dalla rete, dovrebbero migliorare i filtraggi e dedicare qualche pagina all’analisi critica del web, senza prendere tutto come oro colato e farsi così cannibalizzare. Quando si moltiplicano le balle, alla fine non si crede più neppure alle cose vere». E Twitter? «Il fatto che io lì dentro non ci sia, può forse già essere considerata una risposta, anche se i miei fake pullulano. Credo che Twitter permetta un contatto con la propria natura onanistica; e ho sempre pensato che oltre le cinquanta persone tutte insieme, parlino solo i matti. Di positivo c’è una forza virale anche politica, vedi l’opposizione in Cina o a Erdogan: qualcuno arriva a sostenere che Auschwitz non sarebbe stato possibile con Internet, che l’avrebbe immediatamente diffuso e smascherato. Però Twitter dà diritto di parola a tanti imbecilli che prima si limitavano ai bar, e come faccio a essere sicuro di star seguendo proprio Rita Hayworth e non un maresciallo dei carabinieri in pensione che si finge Rita Hayworth?».
Pergamena, medaglia d’oro, abbraccio accademico e standing ovation. Ma anche un regalo speciale dell’università: il recupero di tutti i documenti, attestati, libretto universitario (con le firme di professori che si chiamavano Getto, Bobbio, Pareyson, Abbagnano) e tesi del laureando Umberto Eco, datata 9 dicembre 1954: “Il problema estetico in San Tommaso d’Aquino”, tutto esposto all’Archivio Storico. I vecchi compagni di scuola e il professor Umberto guardavano commossi, assistendo in fondo a una lezione filosofica sul tempo (61 anni, o dell’eternità) come neanche da ragazzi sui quei banchi di legno.