La Stampa, 10 giugno 2015
L’Europarlamento riconosce i diritti delle famiglie gay. «Bisogna adeguare le leggi riflettendo su matrimonio e unioni civili. Norme più complete per i figli nei nuclei monoparentali o con genitori Lgbt». Ma non c’è nessun obbligo legale
Una frase pesante, non solo per il burocratese con cui è stata scritta: «Dal momento che la composizione e la definizione delle famiglie si evolve nel tempo, il Parlamento europeo raccomanda che le normative in ambito familiare e lavorativo siano rese più complete per quanto concerne le famiglie monoparentali e genitorialità Lgbt». Tutto qui, ma basta. Basta a registrare, sebbene l’appello sia parte di un documento non vincolante, che la maggioranza dei deputati di Strasburgo riconosce l’esistenza di nuclei formati da persone dello stesso sesso. E basta a provocare la reazione di chi difende la coppia «tradizionale» che, per la terza volta, vede l’assemblea comunitaria votare l’auspicio di un ampliamento di orizzonti.
Il documento
Il veicolo che rianima la polemica è la relazione «sulla strategia dell’Unione europea per la parità tra donne e uomini dopo il 2015». È un documento che viene compilato ogni cinque anni a Strasburgo per offrire linee di indirizzo complessivo su come correggere le discriminazioni fra i sessi. È concepito per essere di ampio respiro, afferma anche la necessità di interventi che rafforzino i diritti delle donne disabili, migranti, appartenenti a minoranze etniche, delle donne Rom, delle donne anziane, delle madri single e dei Lgbt. Poi si arriva al punto 31 e alla «genitorialità Lgtb» che, fuori di acronimo, si riferisce a coppie delle stesso sesso. Anche con figli.
È già successo. Lo scorso marzo l’Europarlamento ha invitato l’Ue a procedere sulla strada d’una disciplina positiva per le unioni gay. In quell’occasione è stata approvata a gran maggioranza – 390 voti a favore, 151 contro e 97 astensioni – la relazione di Pier Antonio Panzeri (Pd) che incoraggiava «le istituzioni e gli stati a contribuire ulteriormente alla riflessione sul riconoscimento del matrimonio o delle unioni civili tra persone dello stesso sesso in quanto questione politica, sociale e di diritti umani e civili».
Le polemiche
Tre anni prima, il fronte popolare e i partiti della destra non erano riusciti a emendare la risoluzione sulla «Parità dei diritti fra uomo e donna», un testo in cui si esprimeva «rammarico» per «dell’adozione da parte di alcuni stati di definizioni restrittive di “famiglia” con lo scopo di negare la tutela giuridica alle coppie dello stesso sesso e ai loro figli».
Oggi come allora, la polemica è accesa. «Passaggi come questi devono essere di aiuto al governo, e a Matteo Renzi, per un’approvazione rapida e completa del riconoscimento delle Unioni Civili», commenta Daniele Viotti, eurodeputato del Pd. «Italia esca dal Jurassic Park e riconosca diritti» ha amminito il sottosegretario agli Esteri, Della Vedova. «Un arretramento culturale grave dell’Europa che svilisce il valore della famiglia», accusa il segretario Udc, Lorenzo Cesa. «Un grande equivoco», commenta la radio vaticana. Nel mondo sono più di 20 gli stati che riconoscono il matrimonio tra persone omosessuali, di cui 14 sono in Europa. L’ultimo arrivato è l’Irlanda, col referendum di maggio. I sistemi senza alcuna tutela sono nove: fra questi, Italia, Grecia, Polonia, Bulgaria e Romania.