Il Messaggero, 10 giugno 2015
Truccati anche gli appalti per l’aula del Campidoglio. Ecco le ultime dall’inchiesta su Mafia Capitale. Sei in manette per i lavori della sala Giulio Cesare, dove si riunisce il Consiglio romano. La gara assegnata con grande velocità e pilotata a favore dell’imprenditore Amore
Appalti truccati, evasioni fiscali milionarie e alloggi destinati dal Comune all’emergenza abitativa utilizzati per fini privati. Perquisito ma scampato all’ultima ondata di arresti di giovedì scorso per Mafia Capitale, l’imprenditore Fabrizio Amore è finito ieri in carcere. L’accusa è di aver truccato finanche l’appalto per i nuovi scranni, nel palazzo Senatorio, su cui siedono i consiglieri comunali della capitale. Stavolta la procura di Roma gli contesta non solo la turbata libertà degli incanti ma anche l’associazione a delinquere. Legato a doppio filo con i piani alti della pubblica amministrazione, Amore aveva il suo uomo di fiducia in Maurizio Anastasi, direttore dell’Area tecnica territoriale della Sovrintendenza Capitolina, ora ai domiciliari. Secondo l’accusa, avrebbe favorito l’amico manipolando la gara per l’affidamento delle opere di restauro dell’aula Giulio Cesare, pilotando pareri e delibere in modo da far assegnare i lavori, del valore di un milione e 200 mila euro, ad una società di Amore. Come scrive nell’ordinanza il gip Maria Paola Tommaselli, Anastasi ha agito manifestando «un assoluto dispregio per la pubblica funzione e notevole spregiudicatezza e noncuranza per le regole». Il dirigente, continua il giudice, «non ha avuto remore a concorrere alla loro alterazione piegando la funzione pubblica alla realizzazione dell’interesse privato».
TRUFFA EMERGENZA ALLOGGI
In carcere anche il braccio destro di Amore, Lidia Panetto. Agli arresti domiciliari, nell’ambito di un’inchiesta che conta in tutto 20 indagati, sono invece finiti Piero Tonanzi, Eleonora Inserra e Patrizia Pacifico, collaboratori dell’imprenditore. Sono accusati, a seconda delle posizioni, di associazione a delinquere, truffa aggravata, falso, turbativa d’asta, emissione di fatture false, indebite compensazioni d’imposta, sottrazione al pagamento delle imposte con l’aggravante del reato transnazionale. Oltre ad aver frodato il fisco per più di 11 milioni di euro, attraverso una rete di prestanome e società di comodo continuamente trasferite tra l’Italia e il Lussemburgo, gli indagati avrebbero anche beffato il Campidoglio: nel 2009, Amore ha concesso in affitto al Comune due strutture residenziali in zona Ardeatina, da utilizzare per la gestione delle emergenze abitative. E il Campidoglio, per diversi anni, ha pagato circa 2.250 euro al mese per ciascun appartamento, provvedendo anche al saldo delle utenze. Dalle indagini condotte dal comando Unità Speciali della Guardia di Finanza e coordinate dal pm Giuseppe Deodato, è emerso che 6 unità immobiliari, invece di essere destinate ai bisognosi, erano utilizzate dall’imprenditore come sede per le sue aziende. Secondo gli inquirenti, Amore si sarebbe fatto «rimborsare» i costi per circa 603 mila euro.
APPALTO PILOTATO
L’appalto per la ristrutturazione dell’aula Giulio Cesare risale invece al 2010. In luglio, Anastasi rappresenta alla Direzione gestione delle risorse umane e infrastrutturali la necessità di provvedere a lavori di manutenzione da effettuare con urgenza. Al termine di una gara d’appalto a cui partecipano solo 5 imprese, di cui ben 3 riconducibili ad Amore, la commessa va alla società «Trevi Iniziative Immobiliari», dello stesso imprenditore. Non solo: l’indagato è talmente sicuro di vincere che, prima ancora dell’apertura delle buste contenenti le offerte, ha già individuato e pagato il subappaltatore. Sono le intercettazioni a dimostrare, per il gip, «la sussistenza di un rapporto molto più che confidenziale tra Amore e Anastasi». I due parlano spesso di questioni relative a pratiche o gare in atto, e Anastasi anticipa i tempi, dà indicazioni. Il 23 ottobre del 2012 Amore chiama il dirigente e chiede notizie su una gara che si sarebbe sbloccata. «Sembra che la montagna abbia partorito il topolino», dice. Anastasi: «Ci sono tanti topolini partoriti...». E precisa: «Sembrerebbe pure che stanno passando il bilancio... ho altre cose che si sbloccano».
Quando si dice “Piove, governo ladro”. Espressione che sembra calzare a pennello nel caso dell’aula Giulio Cesare, l’imponente sala di Palazzo Senatorio in cui si riunisce il Consiglio comunale della capitale d’Italia, nell’occhio del ciclone per i presunti appalti truccati del restyling. Il 26 novembre del 2014 saliva all’onore delle cronache perché vi pioveva dentro. I secchi fra gli scranni dei consiglieri e le file di poltroncine per il pubblico, a pochi passi dal sontuoso mosaico del II secolo d.C. proveniente da Ostia Antica, ne testimoniavano l’emergenza infiltrazioni. L’acqua faceva breccia tra le crepe dell’alto soffitto a volta dopo il nubifragio.
In realtà, complice il maltempo, non era la prima volta che nell’aula Giulio Cesare andava in scena la raccolta dell’acqua piovana, perché ai piedi della statua del dittatore romano (I secolo a.C.) cui si deve il nome, aveva già piovuto qualche settimana prima. Danni inaspettati, visto che solo quattro anni prima (era il 2010) la sala dell’Assemblea capitolina era stata al centro di un complesso intervento di restauro completato nell’arco di quattro mesi. I lavori iniziavano a maggio (dal 3 il Consiglio si teneva in sala della Protomoteca). L’anteprima alla stampa fioccava qualche mese dopo, il 20 settembre. Un cantiere dai tempi-record, che puntava a sfoggiare il new look in occasione della visita in Campidoglio dell’allora presidente Giorgio Napolitano. In ballo c’erano anche i festeggiamenti per i 140 anni di Roma Capitale. Costo complessivo del restyling, circa 2,5 milioni di euro per messa in sicurezza del soffitto, della volta e delle superfici decorate, oltre alle opere di impiantistica.
GLI AFFRESCHI SCOPERTI
Operazione passata sotto l’egida della Sovrintendenza capitolina (a guidarla c’era Umberto Broccoli), coordinata con la direzione dei Musei Capitolini (retta all’epoca da Claudio Parisi Presicce). Il debutto dei lavori non passò certo in sordina. Fu accompagnato in quei giorni di giugno, (gli appassionati di arte se lo ricordano) dal clamore mediatico per la scoperta a Palazzo Senatorio di affreschi medievali raffiguranti un Cristo trionfante e i fedeli Pietro e Paolo (si chiamò in causa come possibile autore persino un genio del ’300 come Pietro Cavallini), nascosti nella cosiddetta torre di Bonifacio IX, ambiente vicino proprio all’aula di Giulio Cesare, anch’esso coinvolto in quell’anno da lavori di ristrutturazione. La riapertura dell’aula, poi, fu il fiore all’occhiello dell’amministrazione. Anche perché l’ultimo intervento risaliva al 2004. Tra le sorprese di quella première, il recupero integrale delle antiche colonne in marmo che nel precedente allestimento dell’aula erano completamente coperte dagli scranni in legno. Fu un restauro “radicale” per la storica sala, che puntava ad un design innovativo e alla svolta hi-tech. Nell’occhio del ciclone, i nuovi scranni disposti ad emiciclo (e non più con i banchi contrapposti voluti da Ernesto Nathan circa cento anni fa). Ogni postazione veniva dotata di uno schermo touch screen per il voto elettronico che, sul modello della Camera dei Deputati, avveniva con una scheda magnetica. Non solo, ma facevano il loro ingresso anche due maxi-schermi per consentire la visualizzazione delle operazioni di voto, nonché la trasmissione di video in diretta. Al parterre dei consiglieri si aggiungevano le sedute “ad ellisse” (ispirate alla piazza di Michelangelo?) degli assessori, del sindaco e del presidente del Consiglio.