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 2015  giugno 09 Martedì calendario

Roberto Maroni secondo Travaglio: «Chissà che hanno fatto di male i lombardi per essere governati da uno come Bobo. Ha trascorso gli ultimi 23 anni a carico dei contribuenti con risultati a dir poco imbarazzanti. Ministro dell’Interno nel primo e nel terzo governo Berlusconi e del Welfare nel secondo, già capo del presunto “governo della Padania”, deputato per sei volte consecutive, segretario della Lega nel 2012-2013, non ha praticamente lasciato traccia di sé, a parte una serie di leggi demenziali e una condanna a 4 mesi e 20 giorni per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale»

Chissà che hanno fatto di male i lombardi per essere governati da uno come Roberto Maroni (a parte votarlo, s’intende). Il popolare Bobo, già avvocato all’ufficio legale della Avon, ha trascorso gli ultimi 23 anni a carico dei contribuenti con risultati a dir poco imbarazzanti. Ministro dell’Interno nel primo e nel terzo governo Berlusconi e del Welfare nel secondo, già capo del presunto “governo della Padania”, deputato per sei volte consecutive (1992, 1994, 1996, 2001, 2006, 2008), segretario della Lega nel 2012-2013, non ha praticamente lasciato traccia di sé, a parte una serie di leggi demenziali e una condanna a 4 mesi e 20 giorni per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale: nel 1996 aggredì con un manipolo di leghisti gli agenti della Digos che perquisivano la sede milanese del Carroccio indagando sulla Guardia Padana, e si segnalò per l’eroico gesto canino di azzannare la caviglia di un poliziotto nell’esercizio delle funzioni. Perciò, a condanna fu definitiva, Zanna Verde fu richiamato al Viminale come ministro della polizia: per competenza specifica. Se avesse sgranocchiato un agente della Forestale, l’avrebbero mandato all’Agricoltura; un carabiniere, alla Difesa. Questione di curriculum, anzi di pedigree. Quando passava in rassegna le truppe, i poliziotti si coprivano le caviglie, temendo un raptus di ricaduta.
Ora, dopo aver governato 9 anni negli ultimi 20, dovrebbe sedere sul banco degli imputati per le folli politiche sull’immigrazione, che non solo non sono riuscite a risolvere il problema (notoriamente irrisolvibile), ma neppure a governarlo (impresa largamente agevole, ove mai esistesse uno Stato efficiente e coerente). Invece sale ogni giorno sul banco degli accusatori, addossando ad altri le colpe in parte sue. Porta la sua firma una norma disumana, quella dei respingimenti dei emigranti in mare, ma soprattutto inutile visto che contravveniva alle normative europee ed era destinata alla bocciatura (che puntualmente arrivò). Così come il memorabile “pacchetto sicurezza” che tagliava i fondi alle forze dell’ordine (anziché dotarle di più mezzi finanziari per espellere i clandestini), creava le ronde e inventava il geniale reato di immigrazione clandestina: col risultato di intasare questure, procure e tribunali siciliani con decine di migliaia di fascicoli su gente senza identità né dimora, costringendoli a inseguimenti, carcerazioni e scarcerazioni immediate, nonché a processi destinati a sicura prescrizione; ma anche di rendere impossibile l’espulsione dei clandestini in attesa dei tre gradi di giudizio.
Poi finanziò con decine di milioni una pletora di campi rom che ora Salvini vorrebbe radere al suolo e varò il business dei Cara (i centri per rifugiati), con la trasparenza che è sotto gli occhi di tutti. Nel 2011 disse giustamente – ogni tanto capita persino a lui – che gli enti locali dovevano accogliere 50mila migranti, perché il Sud già ne scoppiava e “tutti i territori devono sentirsi coinvolti”: l’opposto di quel che dice e fa ora. Qualche mese dopo, il governo B. di cui faceva parte andò a bombardare la Libia di Gheddafi, moltiplicando gli sbarchi che oggi rinfaccia a una non meglio precisata “sinistra”. Intanto la Bossi Family finiva nello scandalo Belsito-Trota e Maroni, dall’alto della sua condanna definitiva, si ergeva a Uomo delle Pulizie, con tanto di ramazza in mano.
Dopodiché, appena scalato il Pirellone, vi importò lo stesso familismo che rimproverava ai Bossi’s, sistemando nell’ordine: una delle fidanzate di Salvini con un contratto da 70 mila euro l’anno a chiamata diretta in Regione; il proprio avvocato Domenico Aiello all’Expo; e un paio di care amiche: una a Expo Spa, l’altra a Eupolis, due società controllate dalla Regione Lombardia. Una delle fortunate, Maria Grazia Paturzo, spiegava all’altra, Mara Carluccio, che “il nostro contratto (inizialmente previsto direttamente con la Regione, ndr) è stato bloccato alla Corte dei Conti, capito? Per questo ci han dovuto instradare in due società diverse… Per me le cose sono a buon punto, sto aspettando il contratto e ho parlato già con il Presidente… e ha detto ‘se per te va bene iniziamo domani a lavorare’… Me l’ha detto, perché ha detto che ‘per te è una società pubblica e c’è bisogno del bando’…”.
Lo stesso Maroni confermava la cosa parlando con una sua funzionaria: “Mara e Maria Grazia che lavorano qua hanno bisogno di un riferimento su in Regione per tutte le cose che servono e quindi ho dato il tuo come riferimento… Ti manderanno un messaggio dai loro cellulari, e tu sai che quando ti chiamano sono qui a lavorare per noi… per la causa… per la gloria”. Per far cosa? Domanda oziosa, il curriculum non era un problema: “Sto producendo una relazione da inviare alla società”, diceva la Paturzo all’amica: “Cosa ci devo mettere dentro? Non ho fatto un cavolo. Io non so che ci devo mettere dentro, incredibile! Vabbé in qualche modo la devo elaborare”. Poi elaborò, ma la portavoce di Bobo, Isabella Votino, s’incazzò: “Va bene tutto, ma farmela ritrovare a lavorare con noi mi sembra davvero scorretto. Potevi almeno dirmelo”. Meno intransigente mamma Paturzo: “Maroni ha sempre fatto così, ma l’importante è che il 27 ti arrivi il mensile”.
La figlia invece era umiliata: “Sono stanca di essere legata a una persona per poter lavorare”. Poi, si sa, i pm di Milano sono maliziosi, e indagando su Maroni ne hanno dedotto che la Paturzo fosse legata a lui non solo padanamente, ma anche “affettivamente”: infatti lo accusano di induzione indebita nei confronti del Dg di Expo perché sborsasse 6mila euro di aereo e hotel per imbarcare la Paturzo in una memorabile trasferta istituzionale in Giappone, come faceva l’odiato Craxi con nani & ballerine in Cina. Missione poi sventuratamente sfumata. Ma certo, se avesse ragione la Procura, la simbologia della scopa assumerebbe tutt’altra pregnanza.