la Repubblica, 9 giugno 2015
Se nel tweet del senatore Esposito di sessista c’è solo il sesso. Questioni di eufemismi e di un uso incauto dei social. Meglio tenere qualcosa per sé: se no, poi, cosa rimane da dire in privato?
L’eufemismo è spesso più volgare del termine popolare di cui prende il posto. È l’inconveniente nel quale è incappato il senatore del Pd Esposito, juventino, che per twittare il suo stato d’animo a proposito dell’esultanza dei “gufi” per la sconfitta della Juve è ricorso a un rifacimento, piuttosto verboso, di un formidabile modo di dire siciliano che qui, purtroppo, non posso riportare. In sostanza (che disdetta dover ricorrere pure io all’eufemismo) si tratta di prendere in giro chi, non potendo partecipare a un amplesso, si accontenta di provare piacere per interposta persona. Concetto che viene espresso, nel modo di dire originale, in cinque parole secche, mentre Esposito, dovendo ricorrere a perifrasi, ha dovuto usarne addirittura diciannove. Attirandosi, per giunta, roventi accuse di “sessismo”. Sessista, effettivamente, quel tweet lo è: ma nel senso che parla di sesso, non in altri. Esposito ha dunque ragione a non volersi scusare per avere offeso questa o quella sensibilità “di genere”. Farebbe bene a riflettere, però, e non solo lui, sull’uso incauto di Twitter, che nella sua illusoria dimensione di chiacchierata in pubblico ti spinge a una confidenza che sarebbe meglio riservare agli amici, specie se si è senatori. Su Twitter il nemico ti ascolta, anzi ti legge, con inesausta, occhiuta severità, e le sentenze fioccano con la velocità delle gambe di Messi. Meglio tenere qualcosa per sé, senatore: se no, poi, cosa rimane da dire in privato? Ma ce l’avete ancora, chi più chi meno, una vita privata, voi digitomani?