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 2015  giugno 08 Lunedì calendario

Parigi celebra Wawrinka. Lo svizzero rimonta Djokovic e trionfa in quattro set al Roland Garros. Per il serbo, numero uno del mondo, lo Slam rosso resta un tabù. La vittoria di un monomano ci consentirà, forse, di uscire dal conformismo del tennis bimane e tutto muscoli

Ma allora si può ancora. Vincere con il rovescio ad una mano, vincere seguendo il servizio a rete, pareva del tutto obsoleto, addirittura misoneista. Qualcosa di simile poteva arrivarci soltanto dalla Svizzera, un paese che tarda a perdere antiche tradizioni, ormai spessissimo contraddette, anche in Europa.
Premesso che già avrete letto nel titolo che ha vinto Wawrinka, vado avanti. Di recente, ero stato invitato, grazie ad un diploma di coach Atp ad honorem, a un convegno di maestri, per lo più giovani. E, con tutta la stima per il tennis contemporaneo, avevo ricordato affermativamente una frase ascoltata da Lacoste, il primo vincitore del Roland Garros. Il tennista del futuro, aveva affermato quel grande, potrà servirsi di due mani, ma soprattutto per difendersi da servizi violenti alla Big Bill Tilden. Per tagliare la palla sarà meglio impugnare con una sola mano, così come per liftarla, e per il drop shot.
Ero stato vivamente, seppur educatamente, contraddetto da più d’uno dei coach. E mentre me ne andavo a casa non del tutto entusiasta mi era venuta in mente una frase che mai si dovrebbe pronunciare: «ai miei tempi». Non so ancora cosa dirà Wilander, nella sua rubrica televisiva “Game, set and Mats”. Ricordo solo che quel tipo piuttosto intelligente abbandonò il rovescio bimane in favore di uno tagliato per tagliare e attaccare. Così come oggi, imbattendomi nel mio vecchio amico Nastase mi sono sentito dire «E se vincesse uno come noi?». «Troppo buono, Ilie – ho risposto – magari uno come te». Certo le nuove ribattute di rovescio consentono degli spaventosi lift che con quelle di legno erano impossibili. Ma spero che la vittoria di un monomano ci consenta di uscire dal conformismo, anche quello di giovani colleghi che scuotono la testa nel vedermi con una penna in mano, prima di copiare le mie righe sul computer.
Detto ciò, parliamo un po’ della partita. Djokovic pareva in condizioni di sperare in un nuovo Slam, dopo quelli di Budge e di Laver, divinità ormai solo immaginabili. Per quel che riguarda queste due ultime settimane, avevo visto Djokovic in difficoltà soltanto nella semi contro un notevole Murray, peraltro privato del quinto set con un netto 6 a 1. Ma Wawrinka non era certo stato da meno, smarrendo un set di un mezzo allenamento con Lajovic, e un altro di un match notevole contro Tsonga e 14.000 francopitechi arrazzatissimi. Aveva poi trattato Federer quasi uno sparring partner, Stanislas, e questo era stata una vicenda importantissima, secondo un mio amico psichiatra, che ritiene la carriera delle svizzero francese complessata dallo svizzero tedesco, insieme avversario e modello, padre non ancora ucciso e sepolto.
Il Wawrinka di oggi pareva, alfine – ha ormai 28 anni – aver accettato e compreso se stesso. Lo si è visto per tutto il match, contro un Djokovic che, diversamente da quanto diranno in molti, non era affatto in cattiva giornata, ma ormai avvezzo a velocità di crociera nemica molto più lente e abbordabili. I rovesci a due mani di Nole, i suoi diritti sempre liftati, i suoi drop shot, sono stati contraddetti dagli straordinari cross alternati in tagli e lift, così come il numero di volè svizzere è stato più numeroso di quelle serbe. L’istante determinante si colloca probabilmente nella fine del secondo set, con gli 8 punti a 3 di Stan, e nuovamente nei tre games finali, nei quali il rovescio ad una mano è prevalso su quello bimane. Ancorchè la vicenda meritasse un maggior approfondimento.