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 2015  giugno 08 Lunedì calendario

La resistenza di Adolfo Beria d’Argentine. L’uomo che sarebbe diventato uno dei più brillanti magistrati e giuristi dell’Italia repubblicana era infiltrato, con il rango di sergente, nelle file dell’esercito della Repubblica sociale italiana. Grazie al suo travestimento, divenne uno dei principali tramiti fra i partigiani, gli Alleati e coloro che volevano negoziare la resa

Avendo letto nella sua rubrica la lettera sulla Valle d’Aosta contesa nel 1945, mi fa piacere farle avere il libro dello storico Mimmo Franzinelli sulla vita di mio padre che ricostruisce una pagina poco conosciuta sulle mire del generale De Gaulle, non solo sulla Valle d’Aosta, ma anche su parte del Piemonte e, soprattutto, sulla figura del generale Tito Agosti.
Camilla Beria di Argentine

Cara Signora,
Credo che il generale De Gaulle fosse troppo realista per spingersi sino a pretendere una parte del Piemonte. Ma la Valle d’Aosta fu indubbiamente, nell’ultima fase della guerra, il boccone che qualche militare francese sarebbe stato felice d’inghiottire. La Resistenza (soprattutto le formazioni monarchiche e liberali) ne era consapevole e fece del suo meglio perché quella prospettiva non si avverasse. Prima di raccontare l’episodio descritto nel libro di Mimmo Franzinelli e Pier Paolo Poggio (Rizzoli, 2004), devo tuttavia raccontare un aspetto poco conosciuto della vita di Adolfo Beria d’Argentine. Dal settembre del 1943 all’aprile del 1945, l’uomo che sarebbe divenuto uno dei più brillanti magistrati e giuristi dell’Italia repubblicana, era infiltrato, con il rango di sergente, nelle file dell’esercito della Repubblica sociale italiana. D’intesa con Edgardo Sogno e altri esponenti della Resistenza piemontese, Beria si era proposto alle autorità militari di Salò come corrispondente di guerra. Accreditato dal comando tedesco presso il Gruppo armate Liguria, comandato dal generale Graziani e composto da quattro divisioni italiane (Italia, Littorio, Monterosa, San Marco) e due corpi tedeschi (Alpenjager e Granatieri del Brandeburgo), il futuro procuratore generale di Milano aveva credenziali che gli permettevano di spostarsi con un grande margine di libertà lungo il fronte e di raccogliere notizie di prima mano sul movimento delle truppe e i loro piani strategici. Gli articoli pubblicati nei giornali della Repubblica sociale erano soprattutto bozzetti di vita militare, scritti per strappare qualche sorriso e qualche lacrima.
Il ruolo di Beria divenne particolarmente importante nel marzo e nell’aprile del 1945, quando i comandi delle formazioni della Repubblica sociale cominciarono a interrogarsi sul destino delle loro unità. Grazie al suo travestimento, Beria divenne uno dei principali tramiti fra la Resistenza, gli Alleati e coloro che volevano negoziare la resa. È questo il momento, cara Signora, in cui entra in scena il generale italiano citato nella sua lettera. Tito Agosti fu un tragico protagonista dell’ultima avventura fascista. Era nato nel 1889, aveva scelto la carriera militare e aveva combattuto da allora in Tripolitania e Cirenaica durante la guerra italo-turca, in Friuli durante la Grande guerra, in Somalia negli anni Venti, in Etiopia negli anni Trenta e ancora una volta in Africa Orientale fra il 1940 e il 1941. Ferito e catturato dagli inglesi, tornò in patria dopo l’armistizio, aderì alla Repubblica sociale ed ebbe il comando della Divisione Littorio mentre si stava addestrando in Germania. Beria lo conobbe quando gli alpini di questa Divisione decisero di collaborare con i partigiani e le forze alleate per presidiare il confine italo-francese dopo il ritiro delle forze tedesche. Prigioniero degli Alleati, Agosti si suicidò mentre era custodito nel Forte Boccea, accanto a Roma. Parlando di lui, Beria disse che il suo «comportamento esemplare» fu «ignorato da tutti: Alleati, Resistenza, Movimento sociale italiano».