Il Messaggero, 8 giugno 2015
Demirtas, l’Obama del Bosforo che fa sognare i curdi. Pacato e rassicurante, ha superato bene l’esame-tv. Paladino dei diritti umani, è ossessionato dai brogli elettorali
Intorno a lui sono ruotate queste elezioni storiche per la Turchia: 41 anni, l’avvocato Selahattin Demirtas, è il leader del partito filo-curdo Hdp su cui si sono sprecati in questa mesi di campagna elettorale definizioni e paralleli, dall’Obama turco al nuovo Podemos ma sicuramente un leader portatore di una visione moderna del proprio paese, tanto da ottenere il sostegno della comunità gay e della sinistra reduce da Gezi Park.
La sfida, vinta, dell’Hdp è stata quella di superare una soglia di sbarramento altissima dalla visuale italiana, il 10%, numeri di gran lunga al di sotto di quelli dell’Akp del presidente Erdogan ma tali da far saltare il piano della svolta presidenziale. La posta in gioco, però, oltre che sulle regole della ancora giovane democrazia turca, è stata sui diritti umani e non solo, dalle rivendicazioni della folta comunità omosessuale, alla maggiore presenza nella vita pubblica delle donne, sempre più protese verso modelli occidentali.
Demirtas, hanno fatto sapere alla vigilia del voto 12 associazioni che aderiscono al Gender e Sexual Orientation Studies Association, «è stato il solo che si è espresso a favore delle nostre richieste». Ma l’avvocato, che Erdogan ha definito «un tipo da bar», ha sfondato anche gli schermi tv durante i dibattiti elettorali promettendo pace, sviluppo, benessere economico in un Paese dove il tasso di disoccupazione é in crescita e restano profonde le diseguaglianze sociali: «Noi curdi, come i neri americani, abbiamo dovuto combattere il razzismo».
IL BIVIO
Due legislature alle spalle, ha deciso di giocarsela superando il rancore. Di famiglia curda, fino all’università si è finto turco al punto che la sua lingua d’origine quasi non la conosceva più. Forse anche per questo, come ha raccontato, al bivio tra la lotta armata e quella politica ha scelto la seconda. Entrato ventenne nei movimenti curdi, Demirtas ne rappresenta il volto più rassicurante. Accanto alla moglie Basak, insegnante, e alle due figlie piccole, si è conquistato la scena mediatica. Dialogante ma ossessionato dai brogli, tanto da citare più volte un’indagine della università Koç di Istanbul secondo cui il 43% degli elettori temeva scorrettezze. E si è tornato anche a parlare di gatti perché molti hanno ricordato l’interruzione della corrente registrata contemporaneamente in 35 province durante lo spoglio delle amministrative del 30 marzo 2014. Black out che il ministro dell’Energia, Taner Yildiz, attribuì all’intrusione di un «gatto in un trasformatore».
LA GOLA PROFONDA
Non ha mancato di farsi sentire nuovamente l’odiatissima “gola profonda” Fuat Avni (pseudonimo dietro il quale si nasconderebbe, secondo la stampa turca, una personalità molto vicina al presidente) con una nuova “predizione”: l’Akp avrebbe formato una squadra di 3.500 persone incaricata di truccare il risultato del voto introducendo nelle urne 3,5 milioni di schede false. Polemiche di una campagna elettorale avvelenata ma che alla fine ha prodotto un risultato in larga parte previsto. Più che l’Obama turco, il leader dell’Hdp è dunque apparso anche agli elettori più moderati come una sorta di Tsipras del Bosforo. Ha vinto la sfida ma non manca ora la paura che si rivelino siderali le distanze tra quanto promesso in campagna elettorale e ciò che effettivamente è possibile realizzare da seconda forza.