Corriere della Sera, 8 giugno 2015
Il faro esce dalla mitologia ed entra nel postmoderno. Il Demanio ne vorrebbe vendere dieci per rivalorizzarli. Così le lanterne dei mari, che furono raccontate da Virgina Woolf, Poe o Consolo, ritratte da Goya, Rembrandt o Michelangelo, si trasformano in hotel di lusso
Valorizzare. È la parola chiave della «Proposta Immobili 2015», un progetto che prevede la concessione a privati di circa 700 immobili di enti locali e statali, tra cui ville, castelli, ex ospedali, mercati, teatri, scuole, caserme. E fari. Almeno dieci fari, come quello di Capo Spartivento a Domus de Maria, il più antico della Sardegna (1856), diventato una «luxury guest house», cioè un albergo di lusso al motto: «Ritrova la tua anima e perdila per sempre, perché lei qui vorrà restare». L’esperimento è già da tempo ampiamente collaudato in Spagna, in Croazia, in Francia, in Cornovaglia, in Olanda, in Norvegia e altrove. In Italia i fari sono oltre un centinaio, dall’Isola di Capraia al Giglio, da Sanremo a Portoferraio, da Rimini a Vieste, da Murano a San Vito lo Capo. Ma tra i maggiori indiziati, a leggere il sito del Demanio, ci sono quelli di Brucoli ad Augusta, Capo Grosso a Levanzo, Punta Sottile a Favignana, Punta Gavazzi a Ustica, San Domino alle Tremiti. L’idea verrà presentata nei dettagli mercoledì 10 giugno.
Il faro esce dunque dalla mitologia ed entra nel postmoderno. Il primo, eponimo, è quello dell’isola di Pharos, presso Alessandria d’Egitto, dove il re Tolomeo Filadelfo, nel III secolo a.C. fece costruire una torre di avvistamento, dedicata agli dèi salvatori, con un braciere collocato alla sommità e un sistema di specchi che permetteva la visibilità ai naviganti da oltre 30 miglia. Lighthouse in inglese (casa della luce), Lichturm in tedesco (torre della luce), il faro diventa ben presto una metafora spirituale e morale. È in epoca romantica che acquisisce spessore poetico. Nella Ballata del vecchio marinaio di Samuel T. Coleridge, scritta nel 1798, è, con la chiesa e la collina, il «sogno di gioia» che il naufrago rivede per primo al ritorno nel paese natio dopo la sua allucinata peregrinazione.
Ingegneri, costruttori di fari erano Robert e Thomas Stevenson, nonno e padre di Robert Louis: alla famiglia Stevenson si devono quasi cento lighthouses progettate in patria. «Non appena sento l’odore dell’acqua salmastra, so di non essere lontano da una delle opere dei miei antenati», ha scritto l’autore dell’ Isola del tesoro : «E quando i fari si accendono lungo le coste della Scozia, sono orgoglioso di pensare che brillano più luminosi grazie al genio di mio padre». In realtà lo scrittore scozzese non ebbe ottimi rapporti con il genitore, ma ciò non toglie che i suoi romanzi pullulino di fari. Al loro bagliore familiare ha anche dedicato una delle sue poesie più famose: «Il seme brillante della notte, / la stanza di luce infuocata mi circonda...». Restando alla poesia, nei Fiori del male, Baudelaire assunse Les Phares (titolo di una poesia che è quasi un programma artistico) esclusivamente in senso allegorico, incarnando la loro luminescenza nei pittori più amati: Rubens, Leonardo, Rembrandt, Michelangelo, Watteau, Goya, Delacroix.
Ma la lanterna non è sempre così rassicurante: basta leggere l’ultimo racconto, incompiuto, di Edgar Allan Poe, dove il faro è isolamento e minaccia spettrale. Simbolo, nel bene e nel male, anche nel tenebroso (e magnifico) romanzo di Joseph Conrad, Nostromo, nel cui finale la luce inesauribile del faro si oppone alla caducità e alla corruttibilità degli esseri umani. Ma il Faro (con la maiuscola) in letteratura si identifica quasi per riflesso automatico con Virginia Woolf, che l’ha narrato come mito e oggetto edipico del giovane James, continuamente ostacolato dal padre Mr Ramsay nel suo desiderio, differito in modo estenuante dal dilatarsi del tempo, di visitare quella che in fine, a conti fatti, non sarà che una torre nera e nuda. Una delusione, insomma, dopo tante frustrazioni.
Quella luce simbolica non sembra spegnersi, se ancora nel 1999 Vincenzo Consolo scrive una raccolta di racconti-saggi intitolata Di qua dal faro, dove l’alta lanterna segnala la tragica separatezza della Sicilia. Solitudine spesso fraintesa da chi sta al di là. Né di qua né di là: presto la metafora diventerà un prestigioso «hotel de charme».