La Stampa, 8 giugno 2015
Barcellona, molto più di un club. Secondo triplete e quarta Champions in dieci anni, ma il ciclo va avanti. Il modello più simile è il Grande Real: anche per loro la difesa non contava
Secondo triplete della sua storia, quarta Coppa dei Campioni in 10 anni. Non c’è dubbio che sia il Barcellona la squadra del nuovo millennio, e che la capacità di rigenerarsi senza smarrire la propria identità di fondo sia la miglior garanzia di una ulteriore proiezione nel futuro. E sì che questo Barça gioca un calcio assai diverso da quello di Guardiola, meno rotondo ma anche meno dogmatico. Più simile, per caratteristiche, alla versione 2006 che Rjikaard aveva costruito per esaltare un altro straordinario trio d’attacco, con il giovane Messi al fianco di Eto’o e Ronaldinho.
Questo, a trazione non meno anteriore, prevede Suarez e Neymar accanto al non più giovane Messi. Insieme hanno segnato in stagione l’enormità di 122 gol: 25 l’uruguagio che è partito in ritardo per via della squalifica mondiale, 39 il brasiliano, 58 l’argentino.
Il quale argentino è un non più giovane solo perché catalogato di diritto tra i fuoriclasse ormai da un decennio: in realtà compirà 28 anni tra poco più di due settimane. Con loro tre alla guida, il Barcellona si è in un certo senso madridizzato, o a piacere REALizzato, perché le compilation e magari la difficile convivenza di tanti, grandi attaccanti appartengono alla storia dei blancos più che dei blaugrana. Ma questa è un’altra faccenda, che ha turbato i sonni dei puristi catalani e degli orfani del tiqui-taca sino a che il trio denunciava problemi di compatibilità: da quando hanno scoperto il gusto di mandarsi in porta a vicenda, i sofismi dei tradizionalisti sono stati brillantemente archiviati.
Altri cicli, ma più «solidi»
Da tutto questo, e dal fatto che sia loro tre sia il telaio della squadra sono nel fior degli anni, la domanda. Dove si colloca oggi, e dove può arrivare a collocarsi nel prossimo futuro questo Barça nella storia del calcio di club? Molto in alto di sicuro. Non al livello del Real di fine anni ’50, ma di sicuro nei paraggi delle grandi che seppero costruire cicli rimasti sia nell’albo d’oro che nella memoria collettiva. Dunque l’Ajax e il Bayern dei primi anni ’70, il Liverpool a cavallo tra ’70 e ’80, il Milan di Sacchi prima, Capello poi e infine Ancelotti. Squadre diversissime tra loro, ma con un connotato comune che non appartiene certamente al Barcellona di oggi: la solidità, e in certi casi la perfezione della fase difensiva. L’Ajax che battè la Juve nella finale di Belgrado ’73 segnò dopo 5 minuti e congelò la partita senza praticamente correre alcun rischio: il Barça di Berlino, in gol dopo 4 minuti, si è fatto rimontare, ha rischiato il sorpasso e poi dovuto rivincere. Il Milan di Sacchi ha dato spettacolo con i suoi assi andando oltre la tradizione del calcio all’italiana: ma non è mai stata la squadra che segnava più gol, era quella che grazie alla linea Tassotti-Baresi-Costacurta-Maldini ne prendeva di meno.
La Masìa come la Cantera
Ecco perché questo lungo ciclo catalano si riallaccia direttamente – pur senza averlo al momento eguagliato – a quello castigliano del Real di Di Stefano-Puskas-Gento. Perché la vera vocazione del calcio spagnolo non sarà mai quella di prendere un gol in meno. Ma di segnarne uno in più. Questo insegnano alla Cantera del Real come alla Masìa del Barcellona: e quando è nata una generazione di campioni sono arrivati un titolo mondiale, due europei, e la grande stagione del Barcellona. Se in più il fatturato ti permette anno dopo anno le primissime scelte sul mercato senza badare a spese, ecco che il gioco è fatto. E che salvo il Bayern e altre rare intrusioni, due anni fa il Borussia, l’anno scorso l’Atletico Madrid, stavolta la Juve, il diritto di prelazione sulla coppa ce l’hanno il Barcellona e il Real Madrid.