Corriere della Sera, 8 giugno 2015
Quelle mille frustate al blogger saudita. Raif Badawi, condannato per insulto all’Islam e «cybercrimini», non si spiega neanche come è sopravvissuto alle prime cinquanta. E mentre la moglie, dal Canada dove vive con le tre figlie, mobilita (inutilmente) le proteste, Riad reagisce con «sorpresa e sbigottimento» alle critiche internazionali sul caso
Quando a marzo, per la prima volta dopo tre anni di prigionia, il blogger saudita Raif Badawi ha fatto sentire la sua voce, attraverso una lettera letta per telefono dal carcere alla moglie Ensaf, ha spiegato di essere vivo «per miracolo» e di non sapere lui stesso come ha fatto a sopravvivere alle prime 50 frustate. Sono altre 950 quelle che aspettano, 50 ogni venerdì per venti settimane. La sentenza inflittagli insieme a dieci anni di carcere e una multa di 270 mila dollari— per insulto all’Islam e «cybercrimini»— era stata sospesa dopo la prima fustigazione a gennaio, in catene e davanti alla folla che includeva dei bambini. La ragione: motivi medici e, probabilmente, anche le critiche internazionali. Ieri però la condanna è stata confermata dalla Corte suprema saudita. Badawi ha fondato nel 2008 il gruppo (virtuale) per i diritti umani «Rete Liberale Saudita», ma il sito è stato oscurato e il blogger ha rischiato anche la condanna per apostasia, reato che nel regno wahhabita comporta l’applicazione della pena capitale. «Non c’è più nulla da fare», ha sospirato ieri la moglie, che dal Canada, dove vive con le tre figlie, ha continuato a mobilitarsi per la sua liberazione. A questo punto, solo un perdono reale potrebbe salvare Badawi. Non è chiaro se il nuovo re Salman sia disposto a graziarlo. L’Arabia Saudita ha reagito finora con «sorpresa e sbigottimento» alle critiche internazionali sul caso, giunte tra gli altri dall’Onu, dagli Usa, dal Canada, da 18 premi Nobel. La famiglia e gli amici del blogger chiedono perché i potenti alleati occidentali di Riad non siano in grado di aiutare Badawi. Una risposta la si trova nel caso della ministra svedese Margot Wallström, che è arrivata ad annullare lucrosi accordi militari per protesta. Ma non tutti sono pronti a fare altrettanto.