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 2015  giugno 05 Venerdì calendario

Elezioni in Turchia, tra Erdogan e il potere assoluto ormai ci sono solo i curdi. Sdoganata per essere usata contro Assad in Siria, la minoranza ora può decidere il voto

Can Dundar si chiama il direttore di quel quotidiano Cumhuriyet per cui un pm ha chiesto ora addirittura l’ergastolo, per aver pubblicato immagini dei carichi di armi che il governo di Ankara ha destinato a gruppi di ribelli siriani. Intolleranza e frequentazioni jihadiste pericolose: è qui il nocciolo dell’involuzione di Recep Tayyip Erdogan, presidente turco che domenica si gioca il tutto per tutto.
Se alle elezioni politiche in cui 57 milioni di turchi sceglieranno i 550 deputati alla Grande Assemblea Nazionale gli va bene, potrà imporre una riforma costituzionale che significherà il passaggio a un regime presidenziale esplicito. Cioè, un potere autoritario, per imporre un’islamizzazione ancora più crescente e un ulteriore giro di vite sui media. Probabilmente anche una politica estera ancor più erratica e paranoica di quella che lo ha visto ultimamente attaccare il Papa sulla questione armena e imbarcarsi nel pericoloso gioco di sostegno agli islamisti in Libia, Egitto, Gaza e Siria. Se gli va male, sarà forse costretto a accettare un governo di coalizione in un momento in cui comunque la situazione al confine sud è complicatissima. Tra l’Isis che preme alle frontiere e i curdi siriani e iracheni che per fermare lo stesso Isis si sono appoggiati a quei curdi turchi del Pkk, già nemici del governo di Ankara.
Va detto che molta acqua è passata sotto i ponti dai tempi in cui Ocalan era il capo di una rivolta armata. In carcere dal 1999, in cambio della commutazione della pena di morte e di condizioni di detenzione accettabili il vecchio leader guerrigliero curdo ha di fatto mediato la fine della guerra in cambio di un’apertura che in effetti è stato proprio l’islamista Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Akp) a pilotare, dopo essere andato al potere nel 2002 (un’apertura dietro cui c’è anche la necessità di usare i curdi siriani contro Assad in Siria).
Positiva è stata anche per molto tempo la sua gestione dell’economia. Negli ultimi anni Erdogan si è però avvitato in una spirale di autoritarismo, nostalgie ottomane e integralismo contro i quali si è avuto quel contagio della Primavera Araba rappresentato dalle proteste di Gezi Park. E anche l’economia adesso va meno bene. Certo le alternative di opposizione non sono particolarmente attraenti. Una è il Partito Repubblicano del Popolo (Chp) fondato da Atatürk: membro dell’Internazionale Socialista ma anche custode di un laicismo nazionalista anch’esso dai risvolti autoritari. L’altra è il Partito del Movimento Nazionalista (Mhp), espressione della destra nazionalista dei Lupi Grigi di Mehmet Ali Agca. La legge elettorale permette però di presentare candidati indipendenti che non sono soggetti alla clausola di sbarramento del 10%, nel 2011 ne sono stati eletti 35, e nel 2012 29 di loro hanno fondato il nuovo Partito Democratico del Popolo (Hdp), che però si presenta come forza di tutta la sinistra nazionale, tant’è che nei comizi usa anche la bandiera turca. Qualcuno lo ha anche paragonato a Podemos o a Syriza, anche se i leader dicono di essere una cosa diversa. Comunque propone salario minimo e ha il primo candidato gay dichiarato.
Tutti i sondaggi danno l’Akp in calo rispetto al 49,83% che quattro anni fa gli permise di ottenere 327 seggi. La rilevazione più ottimista gli dava il 46%, ma la maggior parte oscillavano tra 38 e 42. Il Chp però con la sua campagna in difesa della laicità non decolla: il 25,98% con 135 deputati aveva avuto nel 2011; adesso sta tra il 25 e il 28,5. Qualche guadagno lo farebbe invece il Mhp, che batte sul tasto dell’anti-corruzione e promette di trasformare in museo il faraonico palazzo presidenziale che Erdogan si è fatto costruire: dal 13,01%, con 53 seggi, arriverebbe al 16-18. E poi c’è appunto l’Hdp, che oscilla tra il 9 e il 12,5. La maggior parte dei sondaggi lo danno sopra il 10, il che vorrebbe dire appunto entrare all’Assemblea con 50 deputati. Se ce la fa, Erdogan si vede scappare la maggioranza dei tre quinti che gli servirebbe per chiedere un referendum istituzionale, e probabilmente anche la maggioranza assoluta.