la Repubblica, 5 giugno 2015
L’affollata sfida repubblicana per la Casa Bianca. Una poltrona per 26 tra gaffe e colpi bassi. Jeb Bush e Rick Perry gli ultimi a scendere in campo. Un numero spropositato, mai visto nelle primarie presidenziali. Un bel problema per i dibattiti tv. La Fox: «Solo dieci in studio»
Un tempo c’erano i Seven Dwarfs, i sette nani del partito democratico che nel 1988 tentarono, con scarso successo, di battere il primo Bush della dinastia che riuscì a mettere piede alla Casa Bianca. Derisi e sfottuti da avversari, stampa, comici tv e (al momento della conta dei voti) dall’elettorato. Nel 2012 il partito di Roosevelt e Kennedy si prese la sua rivincita e il poco nobile (in politica) nomignolo toccò ai sette improbabili sfidanti di un Barack Obama che sull’onda dell’uccisione di Osama Bin Laden si avviava a fare uno storico bis.
Con Hillary in campo era gioco facile tirare fuori di nuovo la storia di Biancaneve e gli gnomi del bosco. Qualcuno lo ha fatto, senza però fare i conti con la moltiplicazione dei nani, che da sette che erano sono diventati (per ora) la bellezza di ventisei. Con le ultime iscrizioni (domenica George Pataki, mercoledì Lindsay Graham, ieri Rick Perry) alla corsa più importante d’America, i candidati ufficiali del Gop alla Casa Bianca sono già venti e se ci aggiungiamo i sei “esploratori” che lo faranno in un rapido futuro (Jeb Bush il 15 giugno, Donald Trump il 16, gli altri a seguire) ecco bello e fatto il pacchetto di mischia repubblicano pronto a sbarrare la strada a un secondo regno dei Clinton.
Un numero spropositato, mai visto nelle primarie della plurisecolare sfida per la Casa più famosa e potente del mondo. Le prime a reagire sono state le tv, guidate da quella Fox News di provata fede repubblicana (proprietario Rupert Murdoch) che ha subito messo le cose in chiaro: sul palco del primo grande dibattito in diretta (6 agosto) potranno esserci «al massimo dieci candidati». Chi saranno i prescelti alla fine lo deciderà la tv, sulla base di alcune regole già fissate, come quella che prevede che un candidato abbia fatto campagna elettorale (e abbia almeno una persona a lavorare per la sua candidatura) in due dei quattro Stati che voteranno per primi, ovvero Iowa, New Hampshire, South Carolina e Nevada. Il diktat della Fox è stato seguito a ruota dalla Cnn che ha deciso di dividere il dibattito del 16 settembre in due parti.
Con la prossima discesa in campo di Jeb Bush, Donald Trump, Scott Walker e Chris Christie (ma il Governatore del New Jersey ha ancora molti dubbi) tra tutti i pesi massimi del partito inizierà una battaglia senza esclusione di colpi, compresi quelli (abituali) sotto la cintura. Con qualche vittima designata, tipo l’ultimo iscritto Rick Perry, cui una decina di anni fa era stato un po’ frettolosamente pronosticato (erano gli anni di Bush Jr.) un futuro radioso. Già nel 2012, presentatosi in prima fila ai nastri di partenza, era stato travolto dalle sue gaffe, adesso ci riprova puntando il tutto per tutto sull’immigrazione (è il paladino del pugno di ferro contro i clandestini) in una elezione in cui le minoranze (ispanici in testa) avranno molto da dire. Contro Marco Rubio (il cubano-americano stella nascente del partito) e contro Jeb Bush (che ha sposato una messicana) rischia di fare subito una brutta fine.
Chi ha reali possibilità tra i “26 nani” del 2016? Mai come questa volta i sondaggi e le previsioni rischiano figuracce cosmiche ma ad oggi i candidati realmente in grado di contrastare Hillary si contano sulle dita di una mano. Oltre Rubio e Bush (che giocano un loro particolare derby della Florida) solo il governatore del Wisconsin Scott Walker, Ben Carson (l’Obama del Gop) e il libertario Rand Paul (che ha avuto grande visibilità nella sua battaglia contro il Patriot Act) vengono presi seriamente in considerazione. Resta, salvo sorprese assolute, l’incognita Mitt Romney. Il candidato mormone sconfitto da Obama nel 2012 ha dichiarato di non volersi candidare. Ma che attenda solo che i “26 nani” si eliminino a vicenda è più che un sospetto.