Il Messaggero, 5 giugno 2015
Cinquant’anni di Satisfaction. Per celebrare il singolo dei Rolling Stones una speciale edizione contenente il master dell’originale. I ricordi e i successi di un disco nato per caso e che ha fatto la storia del rock
Ci sono canzoni che abbiamo cantato o ascoltato fino allo stremo, mettendole a mollo nell’abitudine e smacchiandole da ogni forza, e un anniversario come i 50 anni di “(I can’t get no) Satisfaction”, che cade il 6 giugno, è un buon pretesto per ricordare quale impatto detonante abbia avuto nella storia non solo del rock. I Rolling Stones celebrano con una speciale ristampa del singolo (10 luglio), contenente il master originale, quel che accadde il 7 maggio del 1965 al Gulf Motel di Clearwater, Florida, in una delle stanze da una notte per chi è sempre in viaggio e pensa che, ovunque e in nessun luogo, siano la stessa cosa. Keith Richards si svegliò di colpo con una progressione di accordi ossessiva nella testa, la appuntò su una cassetta, si riaddormentò dimenticando di spegnere il registratore. La mattina seguente trovò inciso anche il suo russare. La fece ascoltare a Jagger che, istintivamente, ci cantò sopra la frase “I can’t get no satisfaction”, titolo non definitivo e simile a “I can’t be satisfied” di Muddy Waters coverizzata proprio in quell’anno. Tre giorni dopo entrarono al Chess Studio di Chicago, quello a cui, cinque anni prima, un Jagger qualunque aveva scritto dall’Inghilterra per chiedere dischi, e che era servito da spunto di conversazione con un Richards qualunque incontrato sulla carrozza di un treno.
IL BRANOIncisero il brano, con Brian Jones all’armonica e lo completarono agli RCA Studios di Hollywood. In fase embrionale era un pezzo folk a tempo lento, in quella definitiva il ritmo fu accelerato e il sound isterizzato. Keith immaginava quel riff fatto dalla sezione fiati, in stile soul (Otis Redding poi la rifece) invece lo suonò con il “fuzzbox”, un distorsore simile a tromboni stonati che renderà per sempre Satisfaction riconoscibile sin dalla prima nota. Nè lui né Jagger la ritenevano un singolo, fu messa ai voti e il mese successivo era già leggenda. Dimostrarono di essere creatori, non solo esecutori bravi a rimasticare rhythm and blues. Prima di diventare il contenitore di mille significati, Satisfaction ebbe il merito di sturare le loro menti e di consacrare definitivamente i “gemelli luccicanti” per come li conosciamo. Non erano note. Era il fiammifero gettato addosso ad una generazione cosparsa di benzina. La tensione latente dei giovani insoddisfatti esplose. Questo era il suono del ribaltamento, di un nuovo stile di vita. Gli Stones erano oltraggiosi e osceni, incarnavano il dissenso, la protesta, abbattevano le diversità sessuali e di classe. Jagger indossava fusciacche e improbabili calzamaglie, ancheggiava come una donna vogliosa, si truccava. La band non era mai allusiva, ma schietta, trascinante, carnale. Quando Mick cantava Satisfaction non utilizzava solo la voce, ma un vasto apparato non verbale fatto di singhiozzi, sospiri, grida, grugniti. Seduceva il pubblico, lo convinceva ad unirsi nella liberazione. Bandito qualsiasi romanticismo o rima a buon mercato: il mondo giovanile non cercava i toni sommessi, voleva il volume. Il suono aggressivo e lancinante della chitarra distorta invitava il pubblico a un rito tribale d’iniziazione ad una nuova epoca. Frantumavano il passato per specchiarsi nel presente. Si distruggeva, creando una nuova coscienza. Perciò Coppola mise in Apocalypse Now, capolavoro sulla guerra in Vietnam, la scena allucinata chiamata Satisfaction: mentre la canzone andava alla radio, il giovane Mr. Clean ballava e Lance sciava sulle acque del Mekong.