5 giugno 2015
Quarantaquattro nuovi arresti per Mafia Capitale colpiscono la giunta di Roma e fanno traballare anche quella regionale. Nel mirino dei magistrati sono finiti il business dell’emergenza migranti e la gara per il centro unico di prenotazioni della sanità — un affare da 20 milioni di euro assegnato a una delle coop di Salvatore Buzzi. «La mucca si munge ma va sfamata», così il boss dettava le sue regole. Lo scandalo scuote e imbarazza il Pd. Il tentativo di scaricare sulla destra le responsabilità. Correnti in subbuglio
Corriere della Sera,
Quarantaquattro nuove misure cautelari eseguite per Mafia Capitale colpiscono la giunta capitolina e fanno traballare anche quella regionale. Nel mirino dei magistrati sono finiti la gara per il centro unico di prenotazioni della sanità – un affare da 20 milioni di euro assegnato (anche se poi revocato) a una delle coop di Salvatore Buzzi, da dicembre finito al carcere duro del 41 bis. In carcere finiscono, tra gli altri, l’ex presidente della assemblea capitolina, Mirko Coratti, il consigliere di opposizione Luca Gramazio (figlio del senatore Domenico), il consigliere del Pd Daniele Ozzimo, il presidente della commissione patrimonio, Pierpaolo Pedetti (Pd) e l’ex presidente della commissione regionale per la gara del Recup, Angelo Scozzafava, più l’imprenditore Daniele Pulcini.
Tra i fatti contestati, l’aggiudicazione degli appalti per gestire l’emergenza profughi, immigrati e quella sociale. Ma anche la manipolazione delle assegnazioni per gli immobili in vendita del Comune, la gara per l’assegnazione della manutenzione dei residence, le forniture per i centri di accoglienza immigrati che chiamano nuovamente in causa Luca Odevaine, l’ex capo di gabinetto di Walter Veltroni. Le accuse vanno dalla corruzione aggravata (in qualche caso con l’aggravante mafiosa) alla turbativa d’asta per molti funzionari e dirigenti capitolini.
Il più colpito da questa seconda tranche d’inchiesta è il cosiddetto «capitale istituzionale» di Mafia Capitale, già descritto nella prima ordinanza (ma ora ripetuto): «Le attività di indagine svolta – scrivono i magistrati coordinati dall’aggiunto della Dda Michele Prestipino e dal procuratore capo Giuseppe Pignatone —hanno consentito di acquisire rilevanti elementi di prova in merito al fatto che Mafia Capitale ha tra i suoi obiettivi primari la acquisizione di attività economica realizzata avvalendosi della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo. L’attività di Mafia Capitale, al fine di ottenere il controllo di appalto lavori pubblici, si avvale anche di metodi tipicamente corruttivi»
L’inchiesta dei pm Giuseppe Cascini, Paolo Ielo e Luca Tescaroli rivela l’esistenza di un apparato amministrativo infiltrato e al soldo di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati e dei rispettivi collaboratori (reclutati indistintamente fra piccoli contabili e pura e semplice manovalanza criminale, perché il duo, nel suo insieme, non rinuncia ad attività di estorsione e usura più tradizionali della mala romana). Le contestazioni riguardano fatti recenti, ricostruiti – grazie alle intercettazioni – nel corso degli ultimi mesi e in qualche caso addirittura in seguito alla prima retata del 2 dicembre scorso. Oggi i primi interrogatori di garanzia del gip Flavia Costantini.
la Repubblica,
In una saga giudiziaria di cui non si indovina la fine, l’inchiesta “Mafia Capitale” dalla “Terra di mezzo” di Tolkien approda alla “Fattoria degli animali” di Orwell. Per svelare che chi ha avuto in pugno Roma non era il Maiale della profezia. Ma un’insaziabile Mucca, come documentano le 428 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare del gip Flavia Costantini che apre le porte del carcere a 44 tra consiglieri comunali e regionali, funzionari pubblici, manager delle cooperative del Terzo Settore. La Mucca politicamente transgenica di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati. Perché, come ghigna al telefono il Grande Elemosiniere e Mafioso della “Cooperativa 29 giugno”, «‘A sai la metafora no? Se vuoi mungere la mucca, la mucca deve mangiare. E l’avete munta tanto. Tanto…». Fino a quando la mucca non si è mangiata tutto e tutti.
“I POLITICI ASSERVITI”
In un catalogo, che è insieme antropologico, criminale, politico, dalle mammelle della mucca – «la mangiatoia», per dirla ancora con Buzzi – suggono infatti bocche voraci. «Funzionali – scrive il gip – ad asservire agli interessi del gruppo quei politici che gravitavano nei segmenti delle istituzioni maggiormente interessati ai rapporti con il gruppo medesimo». La corruzione non è uno strumento, ma la norma. Che definisce, in «un rapporto continuativo nel tempo», il rapporto di forza capovolto tra pubblica amministrazione e Politica (il Mondo di Sopra) e la violenza della strada (il Mondo di sotto). Assessori oggi ex (quello Pd alla casa Daniele Ozzimo), consiglieri comunali (il pd Pierpaolo Pedetti, il centrista Massimo Caprari, il pdl Giordano Tredicine), il già Presidente dell’Assemblea Capitolina (il pd Mirko Coratti), il “dimissionato” presidente del Municipio di Ostia (il pd Andrea Tassone), pezzi da novanta della maggioranza di ieri e opposizione di oggi (Luca Gramazio, già capogruppo in Campidoglio con Alemanno e quindi capogruppo del centro-destra in Regione), sindaci (quello di Castelnuovo di Porto, Fabio Stefoni) non danno ordini. Li prendono. Perché – dice Buzzi – «se li semo comprati». Quindi, «giocano con me». E la regola non deve conoscere eccezioni. Come lui stesso spiega a Carminati. «Per me Pedetti (consigliere Pd e presidente della commissione patrimonio e politiche abitative, ndr) se ne va affanculo – si sfoga – Questi consiglieri comunali devono sta’ ai nostri ordini. Ma perché io devo sta’ agli ordini tuoi? Io te pago! E me fai ancora lo stronzo? Ma vaffanculo». «Ma sì, ‘sti pezzi di merda», chiosa l’interlocutore. Che, aggiunge: «I funzionari pubblici o li cacci o li compri».
“SEMO DIVENTATI GROSSI”
Filosofeggia Buzzi con Carminati e Fabrizio Testa, il loro spiccia faccende, cui ieri è stato contestato in carcere un altro rosario di capi di imputazione per corruzione: «Me li sto’ a compra’ tutti. Semo diventati grossi». Con una chiosa. Che «bisogna sta’ attenti a scenne dal taxi... Perché co’ noi sali. Ma non scendi più». Ed è vero. Come nel diamante della pubblicità, legarsi al carro della ditta è «per sempre». L’unica variabile è nei termini del baratto.
Per Coratti, «che sta’ sempre a rompe er cazzo», «la stecca è di 150 mila euro per sbloccare 3 milioni di euro sul sociale» e per intervenire sulle gare d’appalto dell’Ama, la municipalizzata dei rifiuti, «più mille al mese per il suo capo della segreteria (Franco Figurelli, ndr), «più 10 mila che gli ho dovuto porta’ la prima volta solo per metteme a sede’ a parla’». Ma, soprattutto, per «costruire quel consenso politico nell’Assemblea capitolina» necessario ad approvare la delibera che autorizza debiti fuori bilancio. La voce di spesa “straordinaria” che ha messo in ginocchio Roma in questi anni e ne ha svuotato le casse. Quella con cui viene regolarmente saldato Buzzi, legata a “eventi straordinari” che tali non sono, ma che come tali vengono considerati. Due su tutti: l’emergenza abitativa e quella dell’accoglienza dei migranti. Un welfare due volte nero. Nelle procedure (affidamento diretto) e nelle “stecche”, che rimangono appiccicate alle mani di chi quel denaro eroga.
Per un tipo come Andrea Tassone, invece, di euro ne dovrebbero bastare 30 mila. «Anche se quello – si lamenta Buzzi indignato – m’ha chiesto il 10 per cento in nero dell’appalto. Te rendi conto? Nun se vergognano de gnente». Già, il 10 per cento di 1 milione per il verde urbano di Ostia che Buzzi è in grado di far arrivare dalle casse della Regione a quelle del Municipio, a patto di esserne il destinatario. «Gliel’ho spiegato a quello. Una mano lava l’altra e tutte e due lavano il viso».
Qualcun altro, come il “neofita” consigliere di maggioranza Massimo Caprari, non sa invece che pesci prendere. Vende a Buzzi il suo voto sulla delibera che autorizza i debiti fuori bilancio per «l’assunzione di un facchino all’università Roma 3». Salvo poi pregarlo, di «regolarsi come si regola normalmente per gli altri consiglieri».
“L’IMPICCIO TRIANGOLARE”
Naturalmente c’è del metodo nel «fare impicci». E Buzzi è maestro. Come documenta un impiccio più esemplare di altri, che lui liquida ai suoi come «un quasi reato», «una cortesia all’amministrazione comunale». Il gip, come «esempio di corruzione multilivello di tipo triangolare», che tiene insieme «interessi privati», Regione e Comune. E tanto più odiosa perché costruita sull’emergenza abitativa, una delle piaghe di Roma.
Accade infatti che la “Società cooperativa deposito locomotive Roma san Lorenzo”, strangolata dai debiti, abbia urgenza di trovare un compratore per 14 appartamenti invenduti a Case Rosse, nella zona di Settecamini. E che si possa dunque mettere su un «bell’impiccio» che lasci soddisfatti tutti. Gli appartamenti li comprerà Buzzi per 3 milioni di euro. Ma con soldi che non ha. Il patto prevede infatti che la Regione stanzi a favore del Comune somme straordinarie (7 milioni di euro) che l’assessore alla casa Ozzimo utilizzerà per prorogare, «nel dispregio di ogni norma», convenzioni fuori mercato per l’emergenza abitativa con Buzzi. Il quale, ne utilizzerà una parte per salvare appunto la “Coop san Lorenzo”. Un patto che diventa addirittura un contratto preliminare di compravendita, dove la clausola di salvaguardia è, appunto, che a Buzzi arrivi quel denaro pubblico. Ozzimo, del resto, è un altro di quelli «a libro paga». Uno che chiede e a cui «dai». Fosse anche «l’assunzione di una ragazza al bioparco».
LA CERTEZZA DELL’IMPUNITÀ
Nello zoo di Buzzi, ballano in molti. Nomi che le carte dell’inchiesta documentano, come quello dell’ex capogruppo del Pd in comune e grande nemico di Marino, Francesco D’Ausilio (interessato, attraverso la moglie, alla vicende di Ostia) o il capogruppo in Regione della Lista Zingaretti Michele Baldi. Né l’uno, né l’altro indagati, eppure evocati nei conversari di chi si agita intorno alla Mucca. Anche perché – è la certezza di tutti – nessuno pagherà dazio. Dovessero pure mettersi male le cose. «Io – ride Buzzi – tre mesi a Regina Coeli me li faccio fumando. Tanto poi te devono mette’ fori».
«Il Pd è il partito dell’antimafia capitale». Un partito che, ripete Matteo Orfini, può presentarsi «a testa alta» davanti ai romani. Un partito che in Campidoglio e alla Regione Lazio schiera due «baluardi» come Marino e Zingaretti... Ecco, la linea del Nazareno è questa. Allontanare energicamente ogni sospetto, difendere a oltranza sindaco e presidente della Regione e scaricare sulla destra le responsabilità del sacco di Roma.
Calma e gesso, dunque. Ma dopo gli arresti «dem» il partito ha i nervi a pezzi. L’imbarazzo ai piani alti è palpabile e, per quanto si sforzino di mostrarsi sorridenti e di rispondere affabili alle domande dei giornalisti, anche i dirigenti tradiscono il timore per gli sviluppi dell’inchiesta. La botta è stata forte e la paura è che la giunta Marino, già debole sul piano del governo e poco amata dai romani, possa saltare.
Orfini annuncia la sospensione immediata di tutti i politici coinvolti e però non vede scioglimenti per mafia e commissariamenti profilarsi all’orizzonte del Cupolone. I Cinquestelle premono per le dimissioni di Marino e il paradosso del Pd è l’essere costretto a difendere, una volta ancora, quell’«alieno» nativo di Genova che tanti renziani manderebbero volentieri a casa. «Sul piano amministrativo Marino è ‘na pippa — sintetizza in romanesco un dirigente —. Però ce lo dobbiamo tenere. Primo perché lui è pulito. Poi, perché andare a votare senza il traino delle politiche sarebbe un rischio». Marino quindi non si tocca. E pazienza se il renziano Michele Anzaldi lo attacca perché «non ha passione». Finito il vertice a tre con Orfini e Zingaretti (a cui poi si sono aggiunti Guerini e Serracchiani) il sindaco se ne va da un’uscita laterale, rassicurato e convinto di avere il partito al suo fianco. Se pure la tentazione di approfittare della bufera per cambiare in corsa cavallo ha mai accarezzato i vertici del Pd, l’opinione che sarebbe «una follia» ha prevalso. Orfini ostenta sicurezza: «Preoccupati? Macché... Siamo tranquillissimi. Nessuna sorpresa, gran parte dell’inchiesta è basata sulle carte che noi abbiamo portato ai magistrati. Anzi, almeno sappiamo da dove ripartire».
Da mesi il commissario romano lavora alla mappatura dei circoli, molti dei quali saranno accorpati o chiusi. Il repulisti, che sarà annunciato il 19 giugno, si basa sulla capillare inchiesta di Fabrizio Barca con una squadra di ricercatori, il cui esito dice che la metà marcia della mela è «un Pd cattivo, pericoloso e dannoso». Il commissario di Ostia Stefano Esposito parla di «contesto molto, molto malato», ma chiede al Pd di «smetterla di rompere i c... a Marino».
Tensioni fra correnti e veleni incrociati. A chi fanno capo i consiglieri arrestati? A quale corrente appartiene Angelo Tassone? Qualcuno lo ascrive ai «Turchi» di Orfini, ma il presidente smentisce: «È un ex popolare». Un ex popolare che Beppe Fioroni giura di non conoscere: «Non ho mai avuto occasione di incontrarlo». Stefano Fassina parla di «sistema malato», loda la magistratura e conclude che «la ricostruzione morale e politica del Pd non può essere affidata a un uomo solo al comando». Patrizia Prestipino, membro della direzione nazionale, chiede a Renzi di azzerare tutto: «Il cancro è arrivato al midollo, Marino lasci». E anche Ileana Argentin, cuperliana «amica di Ignazio», invoca «il passo indietro».
Il Pd, ammette Orfini, «ha un problema». Quel Luca Odevaine che fu braccio destro di Veltroni è in carcere da mesi e il bettiniano Maurizio Venafro — ex capo segreteria di Rutelli e poi di Zingaretti — si è visto perquisire la casa dai carabinieri del Ros. Per Rosy Bindi la mafia «pericolosa e aggressiva» che ha allungato i tentacoli su Roma «interpella la politica» e di certo, per quanto la presidente dell’Antimafia non lo dica, interpella anche il Pd.