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 2015  giugno 04 Giovedì calendario

È giusto giudicare i giudici, ma con quali criteri? Alla fine tutti sanno chi produce tanto e chi poco, ma dimostrarlo è praticamente impossibile. Meno che mai con il risultato dei processi

La Giustizia è allo sfascio. Leggi sbagliate, va bene. Computer obsoleti e uffici disastrati, anche. Ma i magistrati lavorano? Si guadagnano lo stipendio? Per mia esperienza personale sì; quasi sempre; beh, chi più, chi meno. Sicché il problema sta nel farli lavorare – tutti – il giusto, valutare il loro lavoro e sanzionare chi tira a campare.
Il procedimento disciplinare funziona meglio che in ogni altra Amministrazione: più giudizi e più sanzioni. Che non vuol dire che funzioni bene: l’inquinamento correntizio si fa sentire. La valutazione del lavoro non funziona per niente: perché è una cosa quasi impossibile. Un medico specializzato nell’asportare le adenoidi fa solo quello. Il tempo di ogni intervento è conosciuto; ogni tanto qualche complicazione, ma stabilire una media è possibile. L’ASL si aspetta da lui X interventi e, se non li fa, gliene chiede conto. Lo stesso avviene per uno specialista in trapianti di cuore; anche qui il tempo medio di ogni intervento è noto. Ma per i processi è diverso.
Prima di tutto non esiste una divisione tra magistrati che fanno processi semplici (guida senza patente) e altri che fanno processi più complessi (rapine, furti, lesioni). Tutti fanno tutto. Vero, ci sono i dipartimenti specializzati: reati contro la PA, societari, criminalità organizzata. Ma la fuffa, i reati quotidiani, quelli li trattano tutti. Solo in casi rarissimi si è esentati dall’ordinaria amministrazione; e anche qui tra mugugni e maldicenze dei colleghi: celebre il caso di Falcone che Meli mise a fare i turni.
Sicché può capitare (capita sempre) che nel lavoro ordinario irrompa la “rogna”. E la produttività annua prevista vada a … farsi benedire. E poi non tutti i processi specialistici “pesano” nello stesso modo. In Procura lo sfottò tra chi si occupa di reati economici e chi indaga in materia di criminalità organizzata è quotidiano: “Si vabbé, voi state a leggervi un centinaio di intercettazioni e poi chiedete perquisizioni e catture; provate a studiarvi bilanci e contratti internazionali”. E viceversa, naturalmente. Chi abbia ragione non si sa; però la valutazione del “peso” di questi processi è complicata.
Alla fine tutti sanno chi lavora tanto e chi poco. Ma dimostrarlo con numeri è impossibile. Men che meno con il risultato dei processi: assolvere un innocente richiede la stessa attività e lo stesso impegno necessari per condannare un colpevole. E allora? Si potrebbe chiedere agli avvocati: loro lo sanno benissimo quanto vale e quanto lavora ogni singolo giudice.
Ma non si può Prima di tutto perché si pregiudicherebbe l’imparzialità dei magistrati: la tentazione di accogliere le tesi dei Principi del Foro, dei Consiglieri dell’Ordine, sperando in un riconoscimento al momento delle valutazioni di professionalità (il Csm le fa periodicamente) sarebbe forte. E poi perché gli stessi avvocati favorirebbero il magistrato che gli ha dato spesso ragione o almeno in quella causa importantissima che tanto successo professionale ed economico gli ha dato. E infine per i PM sarebbe dura. Avvocati e PM sono come cane e gatto: qualche volta nascono amicizie che durano una vita; ma in genere sono graffi e morsi.
Restano i Capi degli uffici e il Csm. Sistema imperfetto come dimostrano i tanti casi alla Bruti-Robledo e i tantissimi di inquinamento correntizio. Ma c’è poco da fare. Come diceva Dante, “…State contenti, umana gente, al ‘quia’, ché, se potuto aveste veder tutto, mestier non era parturir Maria…”.