Libero, 4 giugno 2015
La Commissione antimafia non va certo abolita perché la presiede Rosy Bindi, ma che la presieda Rosy Bindi spiega assai bene perché va abolita. È vecchia, antistorica, non serve a nulla, fa danni
La Commissione antimafia non va certo abolita perché la presiede Rosy Bindi, ma che la presieda Rosy Bindi spiega assai bene perché va abolita. È vecchia, antistorica, non serve a nulla, fa danni: e decidete voi se stiamo parlando solo della Commissione. Ora: gli approcci per sostenere l’assoluta necessità di abolirla – la Commissione – sono due.
Il primo, più in linea coi tempi, è questo: immaginate che da Montecitorio domattina se ne uscissero con la proposta di istituire una «commissione parlamentare anticriminalità»; giornali e talkshow registrerebbero reazioni quasi violente e si parlerebbe di nuova fabbrica di poltrone, di incarichi da spartire, di benefit, di gettoni di presenza, di trasferte, di auto blu, di autisti e segretarie, di quintalate di carta per produrre «studi» e faldoni e audizioni e compitini e soprattutto pile di atti ufficiali e ripetitivi che nessuno legge mai (anche perché le librerie, sul tema, traboccano) e ancora doppioni con altre commissioni (quella sul ciclo illecito dei rifiuti, per esempio) e il tutto con poteri d’indagine ma non di accertamento, né tantomeno poteri sanzionatori. A chi obbiettasse che «antimafia» è più mirato di «anticriminalità» si potrebbe obiettare che di mirato, nella Commissione antimafia, non c’è nulla: in teoria dovrebbe occuparsi di mafia, camorra, ’ndrangheta, infiltrazioni al Nord, presenza di mafie straniere e di narcomafie, riciclaggio all’estero e a San Marino, nuove leggi da introdurre, patti Stato-mafia (senza intanto sovrapporsi alle varie Dia e Dda e Dna) e poi naturalmente c’è la compilazione di liste di «impresentabili» a due giorni dal voto. Ma, se scorrete l’elenco delle funzioni teoriche, trovate veramente di tutto: nell’insieme, un’assurdità che è sorretta soltanto dall’espressione «antimafia» che in Italia è intoccabile come Garibaldi, e che farebbe stracciare chissà quante vesti in caso di abolizione.
Poi c’è il secondo approccio, meno contingente ma eguale negli esiti. La «Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere» è nata nel 1962 e ha esaurito la sua funzione, che essenzialmente era quella di studiare e capire il fenomeno. Ora, in sintesi, l’abbiamo capito, e sappiamo che c’è solo da schierarsi dalla parte della legalità e quindi da passare all’azione – da restarci, cioè – con le leggi e gli strumenti di cui ci siamo dotati.
Lo stesso discorso si può fare per le altre commissioni antimafia già istituite (come in Sicilia) o che ora si vorrebbero assurdamente istituire. Forse servirebbe una Commissione che contribuisse alla costruzione di uno spazio giuridico condiviso dalla Unione europea, ma di fatto è impossibile: molte leggi antimafia esistono soltanto da noi (si pensi al 416bis o al concorso esterno) e all’estero le considerano contro lo stato di diritto, e non soltanto all’estero.
Anche il compito di indagare sul rapporto tra mafia e politica è ormai svolto più o meno impropriamente dalle procure, un po’ come fece la Commissione antimafia sotto la presidenza di Gerardo Chiaromonte e cioè nel periodo migliore della sua storia. Poi la discesa, con accenni di sdoppiamento dell’attività dei magistrati come quando Luciano Violante ascoltava e riascoltava le stesse fonti o meglio i pentiti. Le presidenze successive sono state il vuoto. Anziché rappresentare un’avanguardia e scoprire i nuovi trend criminali, individuando i nuovi spazi pubblici e privati in cui le mafie diventano globali e multinazionali, ora c’è Rosi Bindi che si mette a compilare elenchi senza neanche condividerli col resto della Commissione: continuando a capire di mafia come Armando Maradona capisce di basket. Soluzione: abolirla. Anche la Commissione.