Il Messaggero, 4 giugno 2015
«Basta mega-campi rom». Ecco la linea di palazzo Chigi sui nomadi: ridurre le dimensioni degli insediamenti. Intanto a Roma sale la tensione. Dopo l’incidente e la morte della 44enne scontro sfiorato ieri tra Casapound e centri sociali
Istruzione, lavoro, salute, ma prima di tutto abitazione, perché si può cominciare a parlare di vera integrazione per i Rom, solo se si cancella l’idea di ghetto. Se scompaiono quei campi degradati e ormai sviluppati fino all’inverosimile che affliggono le periferie delle grandi città. Roma e Milano in testa. Sembra ormai questa la logica che il Governo intende perseguire per fronteggiare la nuova emergenza nomadi. Basta campi, basta insediamenti sviluppatisi a dismisura, impossibili da controllare sia sul piano della salute che su quello della sicurezza. È già avviata “la Strategia nazionale di inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti”, il piano affidato dal governo Renzi al ministero del Lavoro, e in particolare al sottosegretario Franca Biondelli, mentre l’attività di studio e di indagine è di competenza dell’Unar, l’Unione nazionale antidiscriminazioni razziali, diretta da Marco De Giorgi con sede a Palazzo Chigi. Per affrontare la questione sicurezza, poi, il ministro Angelino Alfano, ha deciso di incontrare i sindaci dei comuni dove esistono gli insediamenti, per cercare di trovare insieme una soluzione al problema.
GLI ESEMPI
Quali gli obiettivi? Innanzitutto la chiusura dei campi. All’Unar chiariscono che è arrivato il tempo di prendere questa decisione, «proprio per evitare di trovarsi davanti a “mostri” incontrollabili come l’insediamento romano della Barbuta». «Abbiamo ottimi esempi a Torino, Trieste, Trento e nel Nord est – spiegano – dove si sta già facendo un lavoro enorme. Si parte dalla riduzione delle dimensioni dei campi. Nel Nord est sono state create delle microaree di insediamento, più vivibili e anche più controllabili. Tra le altre ipotesi c’è la dismissione dei vecchi edifici. Torino ha convertito edifici pubblici affittandoli ai nomadi e facendo pagare tra i 20 e i 50 euro. Una piccolissima cosa che, però, garantisce l’impegno. In Umbria hanno dato il terreno per costruire la casa, e sono state costituite delle cooperative formate da Rom». Insomma, qualcosa si è mosso. E la linea da seguire è quella indicata dalla Strategia nazionale.
I Comuni possono valutare varie opzioni abitative: edilizia sociale in abitazioni ordinarie pubbliche, sostegno all’acquisto di abitazioni private, sostegno all’affitto di abitazioni private, autocostruzioni accompagnate da progetti di inserimento sociale, affitto di casolari-cascine di proprietà pubblica in disuso. L’Unar insieme all’Anci ha, poi, effettuato un’indagine sugli insediamenti presenti in Italia. Si valuta che ci siano circa 40.000 persone residenti nei campi. La maggioranza dei quali sono collocati a Torino, Genova, Milano, Brescia, Pavia, Padova, Bologna, Reggio Emilia, Roma, Napoli, Foggia e Bari.
LA PROTESTA
Il disagio, però, non accenna a diminuire e ieri, per protestare contro i campi, dopo l’episodio che è costato la vita a Corazon Abordo, un centinaio di militanti di CasaPound da una parte e gli immigrati con gli appartenenti ai centri sociali dall’altra hanno tenuto il quartiere di Boccea in agitazione. Blindati della polizia e agenti in tenuta antisommossa hanno allontanato, tra spintoni e tensione, i manifestanti antirazzisti. E in serata è stato sequestrato anche un borsone contenente delle mazze di legno. «Vogliamo dare voce alla tanta rabbia che c’è – hanno urlato gli esponenti di CasaPound – la nostra è una manifestazione autorizzata, contrariamente a quella dei movimenti per la casa. A noi ci sgombererebbero dopo pochi minuti mentre assistiamo al continuo nascere di campi rom illegali. Siamo qui per difendere gli italiani».