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 2015  giugno 04 Giovedì calendario

Mario Draghi fa sapere che «sul Qe se necessario faremo di più». Quindi la politica monetaria continuerà ad essere espansiva, almeno fino al settembre 2016, e comunque finché non si sarà tornati alla stabilità monetaria. Nonostante i predicatori di bolle finanziarie – la nuova versione dei falchi monetari – stiano già spingendo per una revisione delle scelte della Bce

La politica monetaria continuerà ad essere espansiva, almeno fino al settembre 2016, e comunque finché non si sarà tornati alla stabilità monetaria. Nonostante i predicatori di bolle finanziarie – la nuova versione dei falchi monetari – stiano già spingendo per una revisione delle scelte della Bce.
Il presidente Draghi ha ribadito che la politica monetaria può ridurre il rischio bolla solo indirettamente, riportando alla normalità l’inflazione. Se poi le politiche economiche strutturali continueranno a tardare azione a favore della crescita economica, l’azione diretta anti bolle è nel perimetro della politica macro prudenziale. Con una incognita di fondo – che aggiungiamo noi: la politica macro prudenziale – non solo in Europa – oggi esiste solo sulla carta.
La Bce ha ribadito ieri il programma di espansione monetaria che è in corso: la banca centrale continuerà ad acquistare mensilmente titoli pubblici emessi dai Paesi membri dell’Unione. L’obiettivo è quello di contribuire alla definitiva riparazione del meccanismo di trasmissione che va dai tassi di interesse alla crescita economica, attraverso due canali: incentivare nella giusta direzione la riallocazione dei portafogli finanziari e la formazione delle aspettative. Il percorso sarà lungo – almeno fino al settembre 2016 – ma appare ben iniziato: sia la struttura dei tassi di interesse che le inflazione e le sue aspettative sembrano muoversi tendenzialmente nella giusta direzione.
Questo però è bastato per far subito nascere una corrente di pensiero: i predicatori di bolle. Come ogni visione estremista, i predicatori di bolle partono da un assunto generale non contestabile: al crescere della dimensione e della durata di una espansione monetaria, aumentano i rischi che si crei una bolla nei prezzi delle attività, finanziarie o reali, come gli immobili.
L’espansione monetaria è un ingrediente essenziale per il formarsi di una bolla finanziaria, e poi di una recessione economica. Ma poi occorrono altri ingredienti, come ci ha dimostrato la Grande Recessione. La miccia è stata una bolla del credito immobiliare ad alto rischio negli Stati Uniti, ma la deflagrazione è stata poi così dirompente per il combinato disposto di una eccessiva deregolamentazione finanziaria, finanziata appunto da una politica monetaria espansiva. Su entrambi i fronti, ha agito un piromane – la banca centrale americana (Fed) – poi paradossalmente premiata dalla riforma delle regole, che ne ha aumentato i poteri. A ricordarci che ogni eccesso finanziario ha almeno due mandanti: politici e regolatori accondiscendenti.
Ma oggi e per ora la situazione in Europa non è comparabile con quella americana di sette anni fa; è quello che tutti gli indicatori disponibili – ancorché ancora acerbi e poco testati – ci dicono. Certo che rischi prospettici esistono. Quindi – concludono i predicatori – anche alla luce dei primi segnali di normalizzazione dell’inflazione, occorrerebbe cominciare a pensare ad una strategia di uscita della Bce dall’espansione monetaria. La prospettiva di tassi nulli o negativi spaventa i predicatori; guarda caso, è la stessa paura che hanno i falchi della politica monetaria.
Ma quale deve essere il ruolo della politica monetaria rispetto ad un rischio bolla? La risposta di Draghi è stata chiara. Il rischio prioritario che la Bce deve combattere con gli strumenti – convenzionali e non – è uno solo: il rischio deflazione. Il rischio bolla non può essere ridotto solo percorrendo strade diverse. Da un lato, l’espansione monetaria cesserà quando l’Europa sarà tornata su un sentiero di crescita regolare, reale e nominale. Un ritorno che dipende dall’attivazione delle politiche strutturali, nazionali ed europee. Più le politiche strutturali latitano, più l’espansione monetaria si protrae, più il rischio bolla aumenta.
Dall’altro lato, del rischio bolla si deve occupare direttamente la politica macro prudenziale. È questa una posizione che accomuna la Bce di Draghi con la Fed della Yellen. C’è però un problema istituzionale, che solo la politica può affrontare. La Grande Recessione ha fatto scoprire che nel settore finanziario ci sono tre beni pubblici da tutelare: la stabilità monetaria, la stabilità bancaria e la stabilità finanziaria. Della stabilità monetaria si occupano le banche centrali, della stabilità bancaria i regolamentatori bancari; ma della stabilità finanziaria chi si preoccupa? Una risposta non immediata, tenendo conto che gli intrecci – positivi e negativi – delle tre politiche hanno una dinamica non prevedibile. In realtà una risposta semplice esiste: occorrono tre autorità, che mettono in comune tutte le informazioni, ciascuna con la stessa dignità istituzionale (indipendenza e accountability); in caso di conflitto, sarebbero i Parlamenti ad avere l’ultima parola.
Ma la risposta semplice si è scontrata con la necessità che la politica ha di fare presto, tenendo anche conto delle burocrazie già esistenti. Per cui la politica della stabilità finanziaria – o macro prudenziali – è nelle mani di comitati, controllati dalle banche centrali, soprattutto se esse svolgono anche funzioni di vigilanza. L’Europa non fa eccezione. È una soluzione molto rischiosa, il cui primo risultato è che dei rischi sistemici nessuno è davvero responsabile; sia le banche centrali che i vigilanti bancari hanno altre priorità. Fino alla prossima crisi.