la Repubblica, 4 giugno 2015
Gli Usa mettono un freno allo spionaggio telefonico della Nsa. Dopo mesi di trattative bipartisan il vecchio Patriot Act, varato da George W. Bush sull’onda emotiva degli attentati dell’11 settembre, finisce in soffitta, sconfitto dalle rivelazioni di Edward Snowden sulle intercettazioni della Nsa, ma battuto soprattutto dal compromesso che la Casa Bianca e le lobby di Obama hanno faticosamente raggiunto con il Congresso, con le grandi compagnie telefoniche e con i colossi di Internet
Prima un tweet in cui si è detto felice di una legge «che protegge le libertà civili e la sicurezza nazionale», poi la firma ufficiale che vara il Freedom Act. Dopo mesi di trattative bipartisan – e a soli due giorni dal “blocco” che domenica a mezzanotte aveva costretto la National Security Agency a spegnere i suoi server per l’acquisizione automatica di dati telefonici – Obama e la Casa Bianca hanno alla fine ottenuto quello che volevano. Il vecchio Patriot Act, varato da George W. Bush sull’onda emotiva degli attentati dell’11 settembre (e rinnovato per quattro anni dall’amministrazione Obama nel 2011), finisce in soffitta, sconfitto dalle rivelazioni di Edward Snowden sulle intercettazioni della Nsa, ma battuto soprattutto dal compromesso che la Casa Bianca e le lobby del presidente hanno faticosamente raggiunto con il Congresso (c’erano resistenze sia tra i repubblicani che tra i democratici), con le grandi compagnie telefoniche e con i colossi di Internet.
La Nsa non è più autorizzata a raccogliere i miliardi di dati telefonici (frequenza, data e durata delle chiamate ma non i contenuti), come aveva potuto finora grazie alla decisione di un “tribunale segreto” (come prevedeva la sezione 215 del Patriot Act), ma le compagnie telefoniche dovranno adesso consegnare – dietro apposita richiesta – tutti i dati relativi a persone sospettate di attività illegali. Il Freedom Act rinnova invece, senza modifiche sostanziali, tutti gli altri poteri che il Patriot Act dava al Fbi per combattere il terrorismo.
Escono sconfitti, dopo la vittoria di Pirro di domenica scorsa, Rand Paul e i suoi seguaci “libertari”, ma il senatore del Gop candidato alla Casa Bianca con la sua battaglia per la privacy ha ottenuto comunque una grande visibilità e l’appoggio di molti liberal.
Con la nuova legge le agenzie governative non possono più raccogliere dati “a strascico” (sia negli Usa che all’estero), ma le compagnie telefoniche sono tenute a raccogliere e ad archiviare i metadati, che in casi specifici (e con specifici permessi) dovranno consegnare sotto il controllo del Foreign Intelligence Surveillance Court (il tribunale speciale che dà le autorizzazioni) alle varie branche dell’Intelligence che si occupano di anti-terrorismo (ormai praticamente tutte). Al posto della raccolta massiccia di dati, la legge autorizza il governo a tenere sotto controllo i dati telefonici delle persone a «due passi» da un sospettato (quando in una catena di conoscenze c’è un intermediario tra due persone), mentre prima le agenzie di intelligence potevano controllare solo le persone a “tre passi”. La legge prevede inoltre la creazione di una rete di avvocati ad hoc che possa opporsi alle richieste della Nsa e di altri organismi governativi. La pena massima per l’appoggio “materiale” al terrorismo viene aumentato dai quindici ai venti anni di carcere. In definitiva una legge che è il miglior compromesso oggi possibile tra libertà personale e sicurezza.
La riforma dei poteri della National Security Agency è insieme storica e simbolica. Storica perché, lo ricorda l’American Civil Liberties Union, è «la più importante in tema di sorveglianza dal 1978». Una clamorosa inversione di tendenza politica, una «svolta culturale» secondo il New York Times. Difficile sostenere il contrario, se dall’11 settembre in poi la reazione alla minaccia terroristica era sempre stata aumentare, e mai limitare, l’operato dell’intelligence. Si tratta tuttavia di una rivoluzione che per il momento rimane anche simbolica, perché il varo del Freedom Act non rappresenta in alcun modo la fine della sorveglianza di massa. Anzi, per i prossimi 180 giorni l’effetto sarà opposto: la raccolta “a strascico” dei metadati telefonici riprende, dopo lo stop imposto dalla scadenza dei poteri previsti nella normativa precedente il primo giugno, per accompagnare la “transizione” che la consegnerà – senza annullarla – alle compagnie telefoniche. È a loro che le autorità dovranno rivolgersi, sulla base finalmente di un mandato giudiziario non generico, per accedere ai dati degli utenti Usa su cui esista, altra novità più che benvenuta, un sospetto «ragionevolmente argomentato».
Obama ha ragione a sostenere che la trasparenza aumenti grazie alla desecretazione di alcune decisioni della corte deputata a valutare le richieste Nsa. Ma anche se effettivamente viene ridotta l’estensione di un programma di sorveglianza definito da più parti del tutto inefficace (oltreché illegale) nel contrasto al terrorismo, gli altri programmi restano vivi e vegeti. A partire da quelli autorizzati dal Fisa Amendments Act e dall’Ordine esecutivo 12333, risalente all’era Reagan, che costituiscono la base legislativa del controllo indiscriminato delle comunicazioni via Internet in tutto il mondo. Significa che per la privacy di noi cittadini non statunitensi non cambia nulla, e che il dibattito ha riguardato finora solo la prima delle rivelazioni di Snowden: restano al momento inalterati le intrusioni nelle reti informatiche, il cuore dell’infrastruttura di sorveglianza predisposta da Nsa e alleati, il programma Prism e la raccolta dei dati Internet in transito. Il mutato clima significa però che potrebbero avere, se non le ore, i mesi contati. L’esito è tutto da verificare, ma per Edward Snowden rappresenta comunque una vittoria: in sostanza, la maggioranza del Congresso ha riconosciuto il valore civile del suo monito.