Corriere della Sera, 4 giugno 2015
Una nuova epoca per la Fisica. Sei nuvole di cento miliardi di protoni ciascuna si sono scontrate nel Large Hadron Collider del Cern di Ginevra. Il ritmo è salito rapidamente sino a provocare un miliardo di collisioni al secondo. Un’energia mai raggiunta da una macchina e un risultato che potrebbe aiutare a far luce su quello che ancora non si è riusciti a spiegare. Per Fabiola Gianotti si realizza un sogno
Materia oscura, particelle supersimmetriche, antimateria, ecco gli obiettivi della nuova caccia aperta dal più potente acceleratore di particelle del mondo, Lhc del Cern di Ginevra. Ieri, dopo che il Large Hadron Collider è tornato in funzione, raggiungendo l’energia record di 13 TeV (13 mila miliardi di elettronvolt), sono entrati in attività anche i quattro esperimenti incastonati nell’anello sotterraneo del Cern. E i risultati sono stati straordinari.
Nelle prime ore del mattino sei nuvole di cento miliardi di protoni ciascuna si sono scontrate e il ritmo è salito rapidamente sino a provocare un miliardo di collisioni al secondo. Un’energia mai raggiunta da una macchina e un risultato che potrebbe aiutare a far luce su quello che l’attuale Fisica non è riuscita ancora a spiegare. Dopo mesi di rodaggio Lhc è così tornato di nuovo in azione facendo sognare i fisici che l’hanno costruito e che ora, con le sue straordinarie possibilità, indagano le nostre origini. Al suo interno, infatti, si riproducono le condizioni dell’Universo una frazione di secondo dopo la nascita, 13,7 miliardi di anni fa, quando tutto era un miscuglio infernale di quark e gluoni.
«Non bisogna aver fretta», ha detto il direttore generale del Cern, Rolf Heuer, subito dopo le prime collisioni. «È un traguardo fantastico, ma non è detto che i risultati possano arrivare a breve, ci vuole pazienza». Sono occorsi due anni di lavori per potenziare l’acceleratore spingendolo in sicurezza verso l’obiettivo per il quale era stato costruito. Grazie allo straordinario intervento ogni parte ha dimostrato di funzionare a dovere riuscendo senza difficoltà a raddoppiare l’energia degli scontri raggiunta nella prima fase dell’utilizzo dalla quale era uscita la scoperta del fatidico bosone. Così Peter Higgs e Francois Englert che lo avevano teorizzato agli inizi degli anni Sessanta dello scorso secolo conquistavano nel 2013 il premio Nobel per la Fisica.
Con il ritrovamento del bosone si chiudeva, confermandolo, il disegno tracciato dal «Modello standard» dell’Universo spiegandone le caratteristiche. Adesso si va oltre, affrontando quesiti in grado di scandagliare ancora più in profondità la natura, rivoluzionando, forse, cognizioni fondamentali. La «fase due» di Lhc si proietta proprio verso questi orizzonti sconosciuti battezzati da alcuni «la nuova fisica».
Alla grande avventura del super-acceleratore Lhc del Cern di Ginevra partecipano 700 ricercatori italiani dell’Istituto nazionale di fisica nucleare e due di loro dirigono due dei quattro esperimenti: Tiziano Camporesi e Paolo Giubellino rispettivamente a capo di Cms e Alice. Per tre anni il super-acceleratore Lhc funzionerà al massimo delle sue possibilità aprendo le porte di un mondo ignoto.
«Finalmente possiamo affrontare grandi questioni della fisica rimaste finora senza risposta» ammette soddisfatta Fabiola Gianotti, che dopo aver diretto uno dei due esperimenti chiave (Atlas) per la scoperta del bosone di Higgs nel 2012 (l’altro era Cms) ora si prepara alla guida del Cern, il laboratorio europeo oggi più importante al mondo per le ricerche sulla natura della materia, nato a Ginevra mezzo secolo fa.
Quali saranno le nuove opportunità offerte da Lhc?
«Guardando nel mondo primordiale ricostruito all’interno della macchina cercheremo di capire di che cosa sia formata la materia oscura che caratterizza il 25 per cento dell’Universo, oppure l’antimateria sulla quale all’inizio ha avuto il sopravvento la materia di cui anche noi siamo costituiti, e non sappiamo ancora il perché. Compiamo un viaggio alle origini entusiasmante solo al pensiero».
Tra le altre domande in attesa di risposta c’è anche l’esistenza o meno della supersimmetria.
«Questa è una teoria ipotizzata e dobbiamo vedere se, così come è stata formulata, corrisponda alla realtà. Magari non è corretta e ha bisogno di modifiche. Comunque se non l’abbiamo trovata nella prima fase degli studi potrebbe significare che le particelle di cui è formata come il neutralino o il fotino si manifestano a energie superiori. E adesso lo verificheremo».
Il fascino dei nuovi strumenti di indagine deriva anche dalla facoltà di portare dove nessuno aveva previsto.
«Infatti potremmo scoprire particelle nemmeno immaginate; delle realtà nuove perché Lhc, macchina meravigliosa, ci spalanca la porta di un giardino incantato nel quale le sorprese possono essere numerose. Siamo ricercatori. Cerchiamo, e le scoperte più belle sono quelle inattese. Di certo l’acceleratore consente di affrontare una nuova fisica per la quale ci siamo preparati in questi anni. Bisogna però ricordare che è la natura a decidere e spesso è in grado di sorprenderci con visioni a cui nessuno aveva pensato».
Prospettive esaltanti permesse da uno strumento unico al mondo. È lecito, dunque, attendersi risultati altrettanto eccezionali?
«Lhc e i quattro esperimenti sono ai limiti della tecnologia e consentono di indagare la natura al meglio, come mai era stato possibile. È come per un pittore disporre di nuovi colori, per uno sculture di un marmo eccezionale o per un musicista disporre di un nuovo Steinway a coda: i risultati sono potenzialmente straordinari».
Come si sente uno scienziato davanti a queste eccezionali possibilità?
«Posso dire di vivere assieme ai miei colleghi un’emozione profonda. Trovarsi in questo modo sulla soglia di una nuova epoca della conoscenza ti fa sentire anche la responsabilità di un impegno che hai sognato a lungo e finalmente diventa una realtà».