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 2015  giugno 04 Giovedì calendario

La politica italiana tiene ancora banco, perché due senatori sono usciti dalla maggioranza facendo scendere il vantaggio di Renzi sull’opposizione ad appena nove voti teorici

La politica italiana tiene ancora banco, perché due senatori sono usciti dalla maggioranza facendo scendere il vantaggio di Renzi sull’opposizione ad appena nove voti teorici. Il capogruppo Pd, Luigi Zanda, fa spallucce, dicendo che i due già votavano contro il governo, dunque sul piano numerico cambia poco o niente. Però il segnale è sgradevole, perché anche quelli del Nuovo Centro Destra minacciano di uscire e questo sì che farebbe venire meno la maggioranza, con relativa caduta del governo e il resto.

Andiamo con ordine.
I due senatori si chiamano Mario Mauro e Tito Di Maggio. Perdonerà se le comunico di aver sentito nominare Tito Di Maggio per la prima volta ieri pomeriggio. Invece di questo Mario Mauro sappiamo molte cose. Era uno di Cl, poi è stato con Berlusconi quasi una quindicina d’anni, quindi è passato a Monti (Scelta civica), e da montiano ha fatto il ministro della Difesa con Enrico Letta, poi ha mollato Scelta civica e fondato Popolari per l’Italia, beccandosi una reprimenda da Castagnetti che possiede il marchio Ppi e non voleva duplicati (la sigla di Popolari per l’Italia è infatti Ppl). Mauro sta prima col governo Renzi, poi si arrabbia per un certo contrasto in commissione e infine ieri esce dalla maggioranza. I Popolari hanno votato contro l’Italicum alla Camera. E credo che il problema, anche adesso, sia la legge elettorale.  

Come mai?
Mauro, con una dichiarazione, accusa: «Riforme non condivise, condotte in modo improvvisato ed approssimativo, con una improvvida esaltazione del carattere monocolore dell’esecutivo sono alla base di una decisione che è innanzitutto un giudizio definitivo su una gestione politica che sta tenendo in stallo l’Italia, la sua economia e il suo bisogno di crescita. Le nostre idee contribuiranno ora alla costruzione e all’organizzazione di una maggioranza politica nel Paese centrata sui valori popolari e liberali» eccetera. Appartenevano a Popolari per l’Italia anche Angela D’Onghia e Domenico Maggio. Ma sono due sottosegretari (Istruzione e Difesa) e hanno pensato bene, piuttosto che uscire dal governo, di dimettersi dal Ppl. Sono minuzie di cui non varrebbe nemmeno parlare se non annunciassero difficoltà autentiche per Renzi.  

Quali difficoltà?
L’Italicum, già approvato alla Camera, deve passare ora al Senato. Prima delle elezioni regionali, Renzi ha gridato ai quattro venti che della legge elettorale non si cambia neanche una virgola, in modo che dopo l’esame di Palazzo Madama diventi legge, col solo limite di essere adottata dal 1° luglio dell’anno prossimo, quando sarà andata in porto anche la riforma del Senato. Senonché, fatti un po’ di conti, i numeri forse non  ci sono. Hanno intenzione di bocciare l’Italicum anche i sinistri del Pd e c’è una concreta minaccia del Nuovo Centro Destra, cioè gli alfaniani: l’altro giorno Gaetano Quagliariello ha avvertito che o si cambia il punto relativo al premio di maggioranza alla lista o «si dovrà fare una seria riflessione sul nostro ruolo nel governo».  

Che gliene importa del premio di maggioranza? Sono micropartiti che non arriveranno mai al premio di maggioranza.
Ci arriverebbero se invece di dare il premio alla lista lo si desse alle coalizioni. Dico per dire: Ncd si mette con Berlusconi, ma in coalizione, cioè senza fondersi con Forza Italia. Vanno alle elezioni, vincono il ballottaggio e la coalizione si becca il premio di maggioranza una cui quota finisce anche a Ncd. In coalizione, inoltre, Ncd avrebbe la quasi sicurezza di sopravvivere, mentre se corre da sola... Lo sbarramento del 3% previsto dall’Italicum può risultare proibitivo. Domenica, a parte la Puglia, sono andati malissimo ovunque.  

• Supponiamo che Renzi non si smuova e il governo cada...
La sinistra del Pd accarezza l’idea di sostituire l’attuale gabinetto con un esecutivo guidato da un altro democratico, per esempio Andrea Orlando, gran mediatore. Non capisco su che basino questo calcolo: Renzi è il segretario del partito, certamente non consentirà che il Pd appoggi qualcuno diverso da lui. Bersani e gli altri dovrebbero togliergli la primazia dentro il Pd... ma mi pare difficile. Si andrebbe dunque a votare, e le liste del Pd le preparerebbe Renzi. Vedo poche chances per la Bindi e simili. Si voterebbe col Consultellum attualmente in vigore, cioè un sistema proporzionale puro con sbarramento al 4% alla Camera e 8% al Senato. Non è detto che Mario Mauro e i suoi amici, oppure Alfano e quelli di Ncd (infatti spaccati), passerebbero simili soglie.