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 2015  giugno 03 Mercoledì calendario

Céline proibito. L’antologia “La parola irregolare” edita da Clichy raccoglie i brani dei pamplhlet vietati dello scrittore francese, “Bagatelle” comprese. E lo splendido libro di De Roux “La morte di Céline” ne racconta l’anima, andando all’origine del suo antisemitismo

La morte di Louis-Ferdinand Céline è un caso di omicidio. Premeditato e messo in pratica con scientifica precisione, senza pietà né rimpianti. «Céline fu ucciso dai suoi colleghi scrittori», dice lapidario Dominique De Roux in uno splendido libro intitolato La morte di Céline, pubblicato per la prima volta in Italia grazie al curatore Andrea Lombardi e all’editore Lantana (pp. 140, euro 16). De Roux ha i gradi per parlare: nel 1961, proprio l’anno in cui Céline crepa – povero, trattato come un rifiuto radioattivo dagl’intellettuali – e viene sepolto quasi in silenzio nel cimitero di Meudon, egli fondò i Cahiers de l’Herne. Da quelle pagine passò la riscoperta (o addirittura la scoperta) di un pugno d’autori fenomenali, deprezzati o direttamente disprezzati dall’accademia e dalla cultura ufficiale. Céline, appunto (a cui fu dedicato il terzo numero dei Cahiers), Ezra Pound, H.P. Lovecraft, Solzenicyn, Koestler. E poi Witold Gombrowicz, uno dei preferiti di De Roux: le conversazioni tra i due sono divenute un grande libro, tradotto in Italia da Feltrinelli col titolo Testamento.
La morte di Céline uscì in Francia nel 1966, e non è un testo di critica – come specifica l’autore – bensì una narrazione polemica e sfavillante, quasi celiniana, che indaga le profondità dell’opera del «maledetto» per eccellenza. Se è possibile spiegare Céline, tanto del suo significato si trova nelle pagine di De Roux, che a volte ne prendono gli scoppiettii jazzistici e ne condividono le intemerate contro l’universo molliccio delle lettere francesi. Un mondo ottuso che mise all’indice Céline e, appunto, lo uccise. Fu accoppato, Céline, «da questa consorteria di gentucola unita (in ogni epoca) per autocompiacersi del proprio talento e scacciare l’uomo libero, lo scrittore senza compromessi, colui che finisce in cella, in fin dei conti, per il suo rifiuto di appartenere a chicchessia», scrive De Roux. «Dal 1932 Céline, malgrado il successo, o lo scandalo, fu maledetto. Rifiutò subito di entrar a far parte della “sua” famiglia e, come scriveva, dei “suoi” compagni di strada». Come si sa, a pesare più d’ogni altra cosa sulla sorte di Louis-Ferdinand fu la patacca di «antisemita», che gli rimase impressa in virtù del trittico di pamphlet pubblicati tra il 1937 e il 1941: Bagattelle per un massacro, La scuola dei cadaveri e I bei pasticci. Tre libri su cui il marchio d’infamia è perenne, tanto che non si possono ripubblicare. Almeno ufficialmente, perché vagando per librerie (specialmente online) si possono acquistare ristampe anastatiche dell’edizione Corbaccio, e sempre su internet c’è chi ha reso disponibile il pdf dell’edizione Guanda del 1981. Ma, appunto, bisogna andare a cercare col lume, e al grande pubblico queste opere sono tutt’ora interdette. Un divieto ridicolo, come se l’antisemitismo celiniano potesse oggi far danni. Tanto più che, in quei libri, Céline non se la prende solo con gli ebrei. Ne ha per tutti, hitleriani compresi. Quale fosse poi la ratio del suo antisemitismo, lo spiega proprio Dominique De Roux: «Per Céline», scrive, «il termine Ebreo non ha il suo significato abituale. Non indica un preciso gruppo etnico o religioso: lo dimostra il fatto che sotto questo vocabolo avrebbe potuto raggruppare tutti gli uomini, compreso lui. Il termine, ai suoi occhi, ha qualcosa di magico. Vi ripone tutta la sua paura. L’Ebreo, per lui, è il profittatore della guerra, quello che la voce popolare chiama il mercante di armi, le Duecento Famiglie. Mai questa sensibilità infinitamente soave avrebbe tollerato la minima persecuzione razziale, dato che non poteva sopportare il dolore negli altri, e fondava i suoi princìpi terapeutici non sui veri rimedi, ma sui calmanti e la medicina preventiva. (...) Aveva il progetto di scongiurare il male presente o futuro, pronunciando la parola Ebreo in cui voleva fissare tutta una carica malefica, tutti i crimini di questo mondo che incarna in sé le Erinni, le divoratrici, le cagne grigie dell’alba. Cinque anni dopo, i cani di Himmler, invece di dare la caccia ai criminali vanno a caccia degli innocenti».
Per farsi un’idea, pur minuta, di che cosa contengano quei pamphlet, ci si può rivolgere a un libretto agile e molto interessante curato da Stefano Lanuzza e appena pubblicato dalle Edizioni Clichy: Louis-Ferdinand Céline. La parola irregolare (pp. 130, euro 7,90). All’interno – e questo è il primo merito di questo bel volumetto, che fornisce un quadro piuttosto esaustivo della figura di Céline – sono citati brani dalle Bagattelle, da La scuola dei cadaveri e dai Bei pasticci (oltre che dalle altre opere del grande francese). Ne riportiamo alcuni in queste pagine. Passi stupefacenti, per chi conosca Céline solo per sentito dire, basandosi sulla vox populi. Per esempio le sue professioni di comunismo, e in generale la sua iconoclastia che non risparmia nulla. Nemmeno lo stesso Céline.