Il Sole 24 Ore, 3 giugno 2015
Con i rendimenti dei Btp che tornano sopra il 2%, sui livelli precedenti all’avvio del Quantitative easing, la domanda sorge spontanea: il bazooka di Mario Draghi non sta funzionando? I benefici di questa politica monetaria ultra-espansiva sono già finiti? La risposta deve essere «no»: il Quantitative easing sta infatti producendo effetti benefici, ma questi effetti non possono essere da soli sufficienti per risollevare le sorti dell’Europa
Con i rendimenti dei BTp che tornano sopra il 2%, sui livelli precedenti all’avvio del «quantitative easing», la domanda sorge spontanea: il «bazooka» di Mario Draghi (cioè la gigantesca iniezione di liquidità da parte della Bce) non sta funzionando? I benefici di questa politica monetaria ultra-espansiva sono già finiti? La risposta deve essere «no»: il «quantitative easing» sta infatti producendo effetti benefici, ma – come era ovvio che fosse – questi effetti non possono essere da soli sufficienti per risollevare le sorti dell’Europa. Il «quantitative easing», insomma, non sta creando niente di più e niente di meno di quanto non fosse ragionevole attendersi sin dall’inizio: un po’ di benefici, ma nulla di magico o di risolutivo.
Il rialzo dei rendimenti dei BTp e dei Bund nelle ultime settimane non deve infatti trarre in inganno. A prima vista potrebbe essere paradossale che i loro tassi salgano: dato che la Bce sta comprando titoli di Stato europei, i loro prezzi dovrebbero aumentare e i rendimenti scendere. Non viceversa. In effetti all’inizio del «quantitative easing», partito a marzo, così era stato. Poi, però, c’è stata l’inversione di rotta. Ma anche questa non sorprende, dato che anche negli Stati Uniti i titoli di Stato (si veda grafico sotto) si sono sempre mossi nello stesso modo. Quando iniziò il primo «Qe» (22 dicembre 2008) i rendimenti dei titoli decennali Usa erano al 2,18% e alla fine del «Qe» erano saliti al 3,95%; durante il secondo (dall’8 novembre 2010 al luglio 2011) i tassi decennali sono saliti da 2,55% a 3,12%. E lo stesso è accaduto con il terzo «Qe»: i rendimenti scendono prima e all’inizio del «bazooka», poi risalgono.
A pensarci bene è giusto che sia così: dato che l’obiettivo del «quantitative easing» è di far ripartire l’economia e di far risalire l’inflazione, se questa politica monetaria ha successo è giusto che i rendimenti dei titoli di Stato si adeguino alle aspettative di un’inflazione più elevata. I dati di ieri sul costo della vita in Europa, salita più delle attese allo 0,3%, lo dimostrano: l’inflazione sta piano piano tornando e dunque i rendimenti, che erano scesi troppo, si stanno adeguando al rialzo. Finalmente, potremmo aggiungere. Il ritorno dei BTp oltre il 2%, al netto del minimo effetto-Grecia, di per sé non deve destare alcun allarme. Se mai doveva preoccupare il Bund allo 0,07% di fine aprile.
Per capire se il «quantitative easing» della Bce abbia effetto bisogna infatti guardare altri dati. Oltre all’uscita dalla deflazione, l’Europa è tornata alla – seppur tenue – crescita economica. E questo è in parte merito del «quantitative easing», che ha indebolito l’euro e ridotto i tassi d’interesse. Non solo: seppur su livelli ancora bassi, in Europa sta anche ripartendo il credito a imprese e famiglie. Oltre al recente boom di mutui, anche in Italia, le indagini sulle condizioni creditizie nel Vecchio continente mostrano un primo miglioramento.
Dunque il «bazooka» di Draghi un po’ di effetti positivi li sta producendo. Non bisogna però attendersi molto di più: perché senza durature riforme strutturali, senza una cura ai mali profondi del sistema bancario (dal quale dipende la sopravvivenza di tutte le Pmi), senza un mercato dei capitali più efficiente in Europa, senza la risoluzione della crisi greca e senza una rivoluzione fiscale, difficilmente il destino del Vecchio continente potrà cambiare. Il «Qe» è solo l’anestetico: ora serve la «cura», altrimenti il malato non guarisce.