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 2015  giugno 03 Mercoledì calendario

Una rivincita da Champions. Luis Enrique vuole chiudere il cerchio: battere la Juve e l’Italia che lo cacciò quando era allenatore della Roma. Ritratto di un condottiero alternativo: «Se ho già deciso che farò dopo? No, ma per me non è cambiato nulla dall’inizio della stagione. Non sono un estremista, è il calcio che lo è»

Seduto sulla palla, ai margini dell’area, con gli occhiali da sole e le braccia conserte: Luis Enrique è un condottiero alternativo. Ha imparato a usare la via laterale e oggi sorride davanti alla finale di Champions contro la Juve a un futuro che non è pronto a svelare: «Se ho già deciso che farò? No, ma per me non è cambiato nulla dall’inizio della stagione. Non sono un estremista, è il calcio che lo è». Pure in quella posizione defilata domina il Barcellona, dall’alto di quel pallone. È a pochi centimetri da terra e sta in paradiso. L’Italia lo ha cacciato e sbeffeggiato, il Barcellona lo ha accolto con un certo sospetto, a gennaio ha rischiato la panchina e adesso sta a lui decidere se restare. Privilegio di chi ha avuto successo. Gli manca una partita per eguagliare, anzi superare il mito Pep.
«Il vostro calcio cresce»
Luis Enrique detto Lucho, il primo spagnolo non catalano a trionfare con il Barça ed è facile dire che con un tridente capace di segnare 120 gol chiunque farebbe faville. L’anno scorso qui hanno vinto una mesta Supercoppa, l’argentino Tata Martino ha lasciato una squadra smarrita. La dirigenza l’ha consegnata a Luis Enrique per mancanza di alternative: vincente con le giovanili del Barcellona, il tecnico non si è fatto notare altrove. Ha lasciato la Roma dopo un anno di contratto e non ha brillato al Celta Vigo ma a lui non sembra di dover chiudere un cerchio: «Non ho niente da rinfacciare al calcio italiano che tra l’altro non fa che crescere e non solo per le grandi squadre, guardate il gioco di Sassuolo o Empoli. Noi abbiamo davanti una fantastica rivale, la Juve. Ma abbiamo battuto i campioni di Francia e Germania, ora tocca all’Italia».
La prende larga, la sua amata via laterale che ormai dà risultati sicuri e dopo il lungo giro arriva al dunque, «ora tocca all’Italia»: pure se lui nega l’intento, l’annuncio profuma di rivincita. L’uomo sa attendere. La tattica ha funzionato pure con Messi che non sembrava troppo felice di averlo come allenatore. In inverno si parlava di muro contro muro, di un tecnico impegnato a depotenziare i gruppi dello spogliatoio e il potere della vecchia guardia, lo stesso approccio che ha tentato di usare a Roma solo che i giallorossi gli hanno fatto la fronda ed è finita a stracci mentre a Barcellona hanno tutti deciso di fare un passo indietro. Lui compreso. Ritrovato l’equilibrio, il Barça è diventato imbattibile e Lucho è riuscito a cambiare lo stile di gioco senza intaccare l’anima del club, operazione non semplice. «La nostra idea è sempre la stessa, tenere il pallone. Non so se la Juve pensa di trincerarsi, ma sarà una partita intensa». Se la gusta e non ha paura di aspettarla nella serenità più assoluta. Ha aperto il ritiro alle famiglie, i giocatori passeranno la notte della vigilia con mogli e fidanzate. Toglie pressione e concede tradizione: «Questa squadra si muove leggera, con allegria e non si può cambiare un approccio che funziona».
«Pirlo da limitare»
Non è un modo per snobbare la Juve, anche se con una battuta l’allenatore ammette di avere un certo vantaggio visto che non deve pensare a come fermare Messi: «Però ci troviamo davanti 11 titolari abituati a giocare sempre insieme, sono solidi. La principale preoccupazione è non dare spazio a Pirlo ma poi c’è la velocità di Vidal, le invenzioni di Pogba, l’abilità di Tevez e la convinzione di una squadra che ha vissuto una stagione incredibile. In più non si tratta di vincere solo la Champions ma il triplete». Il coronamento di una carriera che sembrava non dover decollare mai e invece l’ha portato a guardare tutti dall’alto di un pallone.