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 2015  giugno 03 Mercoledì calendario

Bisticci altoatesini per un caso di bandiere. La Svp (Südtiroler Volkspartei, partito popolare sudtirolese) non intende rinunciare alla rappresentanza dei cittadini di lingua tedesca e ha bisogno di qualche pretesto per ricompattarne le file. I partiti italiani hanno le stesse esigenze e devono fare altrettanto

Solo qualche giorno fa leggevo sul Corriere che, secondo lo scrittore Vassalli, dopo anni di incomprensioni in Sudtirolo, italiani e tedeschi sono oggi più vicini e se ne spiegava il motivo. 
La presa di posizione, invece, di rifiutare l’invito ad esporre la bandiera a mezz’asta per ricordare l’entrata in guerra dell’Italia nel 1915, ricordando tutti i morti di quel tragico evento; e la derisione degli alpini solo perché vorrebbero effettuare a Bolzano la loro adunata nel 2018, mettono fortemente in discussione quelle opinioni.
 Certo tutto sarebbe potuto apparire come una forte provocazione, ma lei non crede che i sudtirolesi, ivi compresi gli Schützen, abbiano perso un’occasione di un ulteriore avvicinamento all’Italia e alle sue istituzioni, e abbiano riacceso antichi antagonismi?

Attilio Venturi
attilio.venturi@libero.it

Caro Venturi,
Credo che Sebastiano Vassalli non abbia torto. La soluzione costituzionale adottata per la provincia di Bolzano funziona ed è una delle più consultate da Paesi che hanno problemi analoghi. I criteri utilizzati per finanziare la Regione non piacciono a molti italiani, ma sono evidentemente graditi a bolzanini e trentini. A giudicare dai risultati elettorali le voci più radicali, come quella di Eva Klotz, rappresentano una modesta minoranza. Non credo che l’Austria voglia fare del Sudtirolo, ancora una volta, un caso internazionale. Trent’anni fa l’Ambasciatore austriaco a Bruxelles chiese confidenzialmente alla Nato se l’organizzazione avesse preso in esame, fra gli scenari immaginabili, la possibilità di un conflitto italo-austriaco per il Brennero. Non so quali fossero le sue istruzioni e le sue intenzioni, ma il quesito sembrava dimostrare che a Vienna lo stato dell’Alto Adige era ancora considerato precario. Oggi una tale ipotesi non verrebbe in mente a nessuno.
Eppure esiste ancora una certa separatezza che diventa in alcune circostanze particolarmente visibile. Se la politica italiana si fosse proposta l’assimilazione dei cittadini di lingua tedesca della provincia di Bolzano, dovremmo constatarne il fallimento. Ma non sembra che queste siano le intenzioni del governo di Roma. Gli Stati nazionali europei non sono più patrie semi-religiose, come negli anni che precedettero la grande rivoluzione generazionale del 1968; e il concetto di cittadinanza, a giudicare dal numero crescente delle doppie nazionalità, non è più quello di una volta. Se la Gran Bretagna non riesce ad anglicizzare gli scozzesi, la Spagna non riesce a «castiglianizzare» i catalani e la Francia non riesce a francesizzare i corsi, perché l’Italia dovrebbe avere maggiore fortuna con i sudtirolesi? Gli allogeni della provincia di Bolzano, come venivano chiamati in altri tempi, sanno che la loro identità non è minacciata dai connazionali di lingua italiana.
Come spiegare allora, caro Venturi, i fenomeni a cui lei allude nella sua lettera? Credo che obbediscano a una sorta di codice politico. La Svp (Südtiroler Volkspartei, partito popolare sudtirolese) non intende rinunciare alla rappresentanza dei cittadini di lingua tedesca e ha bisogno di qualche pretesto per ricompattarne le file. I partiti italiani hanno le stesse esigenze e devono fare altrettanto. Credo che le vicende citati nella sua lettera meritino il titolo di una commedia che Luigi Pirandello scrisse fra il 1917 e il 1918: «Ma non è una cosa seria».