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 2015  giugno 03 Mercoledì calendario

Anche Israele ora ha la sua Silicon Valley. Due anni fa il premier Netanyahu disse che Beersheva, la “capitale” del deserto del sud, sarebbe diventata presto una nuova San Francisco. Una promessa che sembra mantenuta. Oggi la città è considerata un punto di riferimento mondiale dell’high-tech

David Ben Gurion, il padre di Israele, sognava che un giorno le dune di sabbia del deserto nel sud potessero diventare con il lavoro dei coloni il granaio della Patria, piantagioni ad alto rendimento, coltivazioni che avrebbero potuto sfamare milioni di persone. In parte il sogno si è avverato, campi di ortaggi e frutta esotica hanno reso celebri le Fattorie di Arava. Ma nella skyline della “capitale” del deserto israeliano svettano adesso anche scintillanti grattacieli di vetro e cemento, grandi complessi di architettura avveniristica spuntano come funghi, nella Negev Mall Tower ogni piano è grande come 4 campi di calcio, le grandi gru che sollevano i pannelli di vetro non si fermano un attimo. Cinque grattacieli alti oltre 100 metri sono il nuovo profilo di Beersheva e la città cambierà ancora molto, e in brevissimo tempo.
Molte sopracciglia si sono sollevate nel 2013 quando il premier Benjamin Netanyahu promise che la città sarebbe diventata «il più importante cybercenter dell’emisfero occidentale». Sembrava soltanto la promessa di un politico navigato, invece la “capitale del Negev” è in corsa per diventare davvero il più importante centro di ricerca e sviluppo per l’informatica e l’hi-tech. Lo scorso gennaio la prestigiosa Brandeis University del Massachussetts ha pubblicato uno studio che classifica Beersheva come la prima delle sette città al mondo che emergeranno nel futuro come importanti centri di hi-tech. Perché Israele, con una popolazione di meno di 7 milioni di abitanti, in stato di guerra permanente con quasi tutti i suoi vicini e privo di risorse naturali, è da anni il centro propulsore del software mondiale, dove le major del settore da Google a Microsoft, da Samsung a Paypal, hanno messo radici profonde assumendo migliaia di informatici.
Israele è il Paese in grado di attrarre investimenti in capital ventures più di ogni altro al mondo. Perché un esercito di ingegneri, matematici, informatici e fisici ha messo negli ultimi dieci anni la sua competenza nella sicurezza informatica, archivio dati, comunicazioni mobili che hanno portato l’economia israeliana dai pompelmi alle app. La “chiavetta” che usate nel vostro pc per connettervi a Internet è prodotta in Cina ma l’ha inventata un ingegnere israeliano, così come più della metà delle app per gli smartphone. La differenza fra la Silicon Valley californiana e la “Silicon Wadi” israeliana è davvero ormai molto sottile. Al punto che la “El Al” ha ricevuto una valanga di lettere di viaggiatori che chiedono di mettere in prima possibile un volo diretto Tel Aviv- San Francisco ed evitare così alle centinaia di pendolari informatici israeliani che lavorano in California il cambio di aereo a New York.
I dati diffusi dal National Cyber Bureau, ente nato solo nel 2011 impegnato a sostenere start-up con diverse forme di finanziamento, dimostrano che il 10% delle vendite globali di computer e tecnologie per la sicurezza, riguarda aziende israeliane che hanno venduto programmi per 6 miliardi di dollari, cioè l’8% del fatturato mondiale del settore. «I dati dimostrano che Israele è diventato un partner chiave nel cyber-mondo», ci dice il professor Isaac Ben-Israel capo del Cyber Research Center dell’Università di Tel Aviv, «una delle ragioni risiede nella politica su questo settore, strategico nella Difesa nazionale ma anche nello sviluppo economico; il sistema economico ha incoraggiato la ricerca e l’innovazione e ha messo Israele in prima fila nel mondo».
Certo molto di ciò che viene realizzato nell’hi-tech è certamente legato alle aziende della Difesa – come la Rafael Advanced Defence Systems che ha “inventato” i droni e l’Iron Dome e sta mettendo sul mercato “Protector” uno scafo senza marinai per pattugliare le coste a basso costo che si guida con un joystick dalla terraferma. Ma anche oltre l’aspetto militare Israele è da anni dentro una cyberwar senza fine. Le sue reti informatiche sono le più hackerate da ogni parte del mondo, con migliaia di attacchi al giorno. Nella guerra di Gaza della scorsa estate i siti governativi hanno subito milioni di attacchi. Poi ci sono le reti civili, la El Al, l’aeroporto di Tel Aviv, la Banca centrale, quelle private, la Borsa, le reti cellulari. «Una guerra invisibile che si av- verte e si avvertirà sempre di più», è l’opinione più condivisa con il premier Netanyahu.
Una Start Up Nation non si costruisce in un giorno né con un tratto di penna. In Israele l’informatica accompagna di alunni dalle scuole medie in poi, i selezionatori dell’Idf girano negli istituti superiori in cerca di talenti e i migliori – superate una lunga serie di prove – presteranno servizio presso la mitica Unità 8200, quella che si occupa della cyberwar. Finiti i tre anni di servizio militare, gli appartenenti all’Unità possono sviluppare e commercializzare le loro invenzioni sul mercato civile se la Difesa non le giudica strategiche. Ha prodotto più milionari l’Unità 8200 che qualsiasi altra Business School in Israele.
La maggior parte degli utilizzatori dell’app Stylit – usato per scegliere modelli in base alla vostra taglia e molto apprezzata negli Usa dai grandi marchi della moda pronta – non sa che l’inventore Yaniv Nissim, un veterano dell’8200, ha usato una tecnologia sviluppata in origine per prevenire gli attacchi kamikaze. Accusati di voler soltanto far denaro, i veterani dell’8200 molto spesso partecipano alle Hackatlon, le maratone informatiche a scopi benefici piuttosto frequenti in Israele. Nell’ultima hanno creato una app geniale (e gratuita) per le persone sorde che converte gli annunci audio delle stazioni ferroviarie, degli aeroporti o sui bus, in sms sul cellulare.
Oggi con l’Università Ben Gurion e suo Technology Park Beersheva si candida a sfilare a Herziliya la corona di regina dell’Informatica. Le centinaia di edifici in costruzione per oltre un milione di metri quadrati danno la dimensione che la Capitale del deserto, cambierà volto e assai rapidamente. I suoi abitanti raddoppieranno nell’arco del prossimo anno e le major dell’hi-tech stanno già scegliendo sedi prestigiose. Perché qui verranno trasferiti i militari attualmente impiegati nelle basi aeree di Glilot e quelli dell’8200 che stanno a Ramat Gan. Una spinta importante per la città. Perché oltre ad essere una fucina di cybertalent le unità militari sono anche grandi clienti delle multinazionali informatiche che hanno tutto l’interesse a investire in questa zona. Le aziende già operanti nel Techology Park di Beersheva sono già una miriade, locali e straniere, come Ness Tchnologies, Deutsche Telecom, Rad, Lockeed Martin, Elbit Systems. Ma anche decine di piccole altre start-up dai nomi esotici come “Sorento”, “Ravello”, “Patagonia” dietro le quali ci sono tre-quattro ingegneri informatici israeliani che sperano di bissare il successo di “Waze”, il navigatore social comprato da Google per un miliardo di dollari. La più costosa acquisizione della (breve) storia dell’informatica.