Corriere della Sera, 3 giugno 2015
Aumentano le donne nei consigli regionali, ma in Puglia tutte fuori le capolista di Emiliano. Così le donne affollano anche ambienti che un tempo erano roccaforti maschili. Ma non comandano mai. Rarissimamente riescono ad entrare nella stanza dei bottoni
Il paradosso più palese è quello della Regione Veneto: la candidata presidente Alessandra Moretti ha perso clamorosamente le sue elezioni. Ma è proprio in Veneto che in questa tornata elettorale si registra l’exploit di donne elette nel consiglio: ieri erano 2 su 61, oggi sono arrivate a 12 su 49. Che in percentuale vuol dire che si è passati da uno striminzito 3,2% di donne ad un 24,5%.
Va così un po’ ovunque e da troppo tempo ormai: le donne affollano anche ambienti che un tempo erano roccaforti maschili. Ma non comandano mai. Rarissimamente riescono ad entrare nella stanza dei bottoni. E quando ci entrano, spesso, non si circondano di donne. Prendiamo l’Umbria, ad esempio.
Nella Regione del centro Italia il paradosso è al contrario: Catiuscia Marini è stata eletta governatrice (con non poca fatica), unica donna in tutte le Regioni d’Italia insieme a Debora Serracchiani in Friuli-Venezia Giulia. E questa volta in Umbria le donne elette nel consiglio sono diminuite (3 su 20, erano 5 su 30).
In tutte le altre Regioni ci sono più donne consigliere nel 2015 rispetto alla scorsa tornata elettorale. Ma le donne possono essere contente? Sulle quote rosa per le Regionali non esiste una normativa omogenea: la scelta è affidata a livello locale. «Stiamo lavorando per poter estendere questa misura al meccanismo delle elezioni regionali», spiega Anna Finocchiaro, presidente della commissioni Affari costituzionali del di Palazzo Madama. La senatrice è favorevole alle quote rosa, meccanismo che impone di mettere per legge una certa percentuale di donne nelle liste elettorali, così come nei consigli di amministrazione delle società partecipate. E lo difende: «Deve essere utilizzato come strumento di passaggio per sbloccare la situazione. Oggi credo che le donne in politica fatichino ancora più degli uomini, come del resto accade nella vita di tutti i giorni».
Si può essere soddisfatti delle presenze femminili in Puglia? Certo, oggi ci sono 5 donne consigliere su 49 e ieri ce n’erano 3 su 70. Ma nessuna nella maggioranza di Michele Emiliano. Lo stesso che, da candidato, – dopo che, anche per colpa del Pd, non passò la norma sulle quote di genere per il voto in Regione – aveva annunciato: «Riparerò, le capolista del Pd saranno tutte donne». La squadra fu presentata, non a caso, l’8 marzo: foto di gruppo con le sei capolista. Tutte donne, davvero. Ma nessuna di loro ce l’ha fatta. Ed Emiliano pensa a un uomo come suo secondo alla guida della Regione, Sergio Blasi.
E che dire della Campania? In numero assoluto le donne consigliere sono diminuite (da 12 a 11), ma in percentuale sono passate da quasi il 20 a quasi il 25%. E, tra le donne che non hanno passato il turno, ce ne sono alcune tra le più note. Come Alessandra Mussolini e Sandra Lonardo Mastella, la moglie di Clemente, finita all’ultima ora nelle liste degli «impresentabili». E Eleonora Brigliadori, che aveva scelto il cavallo dei Verdi e come cavaliere che la introduceva il senatore Francesco Borrelli. Risultato? Lui eletto. Lei è rimasta al palo.
Forse bisogna arrivare in Toscana per sperare che l’elezione di Enrico Rossi faccia salire di grado anche qualche donna. Stefania Saccardi, ad esempio, la donna che con oltre 14.500 preferenze è risultata la seconda eletta. È stata vicesindaco a Firenze ai tempi di Matteo Renzi e avrebbe tutte le carte in regola per essere almeno al secondo posto nella guida della sua Regione. Se non lei, chi? Se non ora quando?
Non adesso in Liguria, almeno. Le donne consigliere qui sono passate da 4 a 5 e a vedere il brutto tonfo fatto dalla candidata del Pd Raffaella Paita non sembrerebbe esserci troppo da sperare per una regione colorata di rosa.