CorrierEconomia, 1 giugno 2015
Le borse cinesi sono scatenate, tra listini in pieno boom e flop clamorosi. Tutti i trader del presidente
Alla City di Londra dicono «What goes up must come down», ciò che sale deve tornare giù. Prima o poi. L’ascesa della Borsa, sulle piazze cinesi di Shanghai e Shenzhen, dall’inizio dell’anno ha creato 1,2 trilioni di dollari di nuova capitalizzazione.
Giovedì scorso lo Shanghai Composite Index ha aperto a soli 60 punti da quota 5.000, un livello mai toccato dal gennaio 2008, un +48,2% dall’inizio di quest’anno; +140% dalla metà del 2014. Il Toro scatenato ha affascinato i risparmiatori cinesi: l’ultima volta che «Corriere Economia» se ne è occupato, il 20 aprile, c’erano 190 milioni di investitori registrati: oggi sono 200 milioni.
Divergenze
Eppure i fondamentali dell’economia cinese sono in frenata, dalla produzione industriale al commercio, al consumo di carbone, al settore immobiliare, la cui bolla minaccia sempre di scoppiare. Perché per così tanti mesi, mentre l’economia reale frenava, la Borsa ha continuato a correre impazzita? Semplice: dietro il mercato azionario c’è la mano del governo di Pechino. E una traccia sembra arrivare fino al presidente Xi Jinping.
Il 25 maggio il «Quotidiano del Popolo», voce ufficiale del partito comunista, ha pubblicato in prima pagina un’«intervista esclusiva» con un «personaggio autorevole», ma anonimo, che spiegava: «La chiave per una crescita stabile, allo stadio nel quale siamo arrivati, dipende dalla capacità di trasferire il risparmio in investimenti effettivi». L’insider innominato proseguiva: «Non preoccupatevi di uno o due punti in meno nel Pil, l’importante è che più risparmio dei privati diventi investimento». Poche ore dopo Pechino annunciava un piano per 1.043 nuove grandi infrastrutture, dalle autostrade ai ponti, alle ferrovie e agli aeroporti, da finanziare con 1,97 trilioni di yuan (317 miliardi di dollari) che saranno raccolti con partnership pubblico-privato. Risultato: un altro balzo del 3,5% in Borsa. La fonte del «Quotidiano del Popolo», dunque, era davvero ben informata. D’altra parte per mesi il giornale (e tutta la stampa statale) hanno rassicurato e incitato i piccoli investitori, invitandoli solo a una generica moderazione.
Bolla
Ma chi è l’infallibile insider del quotidiano comunista? Il giornale il 27 maggio ha sentito il dovere di rispondere con un articolo dal titolo: «Chi è il nostro personaggio autorevole?». E subito: «La Borsa è salita, ha fatto tutti felici, la figura che non si nomina è molto familiare nella nostra storia. Ricordate che in passato saggi scritti da Mao Zedong venivano spesso pubblicati anonimi, sotto la firma “Quanwei renshi”, Personaggio autorevole». Il successore di Mao è senza dubbio Xi Jinping: ma subito il giornale ufficiale riprende il gioco ambiguo: «Anche se non erano scritti di suo pugno da Mao, quei saggi manifestavano l’obiettivo, il carattere e lo stile del vertice decisionale della Cina; proprio per la loro natura misteriosa erano ancora più attraenti».
Soprattutto, seguendo le indicazioni dell’insider autorevole, «la borsa sale e fa tutti felici»: le statistiche dicono che gli investitori basati a Shanghai hanno guadagnato 156 mila yuan a testa da inizio anno (22.900 euro circa), i pechinesi 80 mila yuan, media nazionale 14 mila yuan (oltre 2 mila euro). Questa forchetta dice molto sulla diversità enorme all’interno della Repubblica popolare: differenza nella ricchezza dei cittadini, nella loro preparazione, nella loro capacità di cogliere il momento e seguire le voci «giuste». Un’altra statistica, di «Bloomberg»: il rally della Borsa ha creato due miliardari a settimana quest’anno in Cina.
Crac
Qualcuno però di miliardi ne ha anche bruciati tanti. È il caso di Li Hejun, presidente di Hanergy, colosso dell’energia solare. Era il 20 maggio e la sua creatura alla Borsa di Hong Kong valeva 40 miliardi di dollari, dopo essersi moltiplicata per cinque dal 2014. Alle 10,16 si registra un ordine a vendere per 426.000 azioni Hanergy; nessuno interessato a comprare; in pochi decimi di secondo i computer della Borsa, usando algoritmi, individuano un prezzo in calo, da 6,80 dollari di Hong Kong a 6,69, poi 6,10, poi ancora giù fino alle 10,40, quando a quota 3,91 il titolo è stato sospeso dopo essere caduto del 47% bruciando 19 miliardi di dollari (Usa) di capitalizzazione. Fatto strano, molto strano: il signor Li Hejun due giorni prima del collasso aveva offerto milioni di azioni di Hanergy come derivato per ottenere un prestito da 200 milioni di dollari da un istituto statale cinese. La commissione di controllo di Hong Kong ha acceso un faro sulla vicenda.
E veniamo agli ultimi avvenimenti a Shanghai. Giovedì 28 maggio all’improvviso il Composite Index comincia a scendere: molti vendono per realizzare i guadagni, circolano voci su un drenaggio di liquidità da parte della Banca centrale. Risultato un tonfo del 6,5%. Seguito da una giornata piatta venerdì 29. Ora l’indice è a 4.611.
Ciò che sale deve tornare giù, prima o poi. Se una mano non lo sorregge rilanciandolo verso l’alto. L’agenzia statale «Xinhua» scrive: «Il toro continuerà nel lungo periodo, questo ridimensionamento permetterà al mercato di andare più lontano».