la Repubblica, 1 giugno 2015
Gigi Proietti e i suoi primi 50 anni di carriera. L’attore romano racconta la sua strana storia: «Vede io ho iniziato con quel teatro che, come diceva Gigi Magni “ce vò l’astrologo pè capì che vor dì”, teatro di altro segno espressivo. Ma con A me gli occhi please, in un teatro tenda e un linguaggio più popolare, tutto è cambiato, capii molte cose, sia artistiche che produttive. Con Roberto Lerici mettemmo insieme la qualità e il divertimento»
Cinquant’anni di “militanza teatrale” come la chiama lui. C’è motivo di festeggiare per Gigi Proietti che arriva al mezzo secolo di professione in forma e forte della sua storia di attore-regista teatrale e del successo televisivo. Cavalli di battaglia, lo show che sta portando in giro, un successo ovunque, a Roma all’Auditorium, ha già totalizzato quindicimila biglietti in prevendita e continua ad aggiungere repliche arrivate oggi a sei, il 20, 26, 28,30 giugno e il 7 luglio.
Proietti è bello festeggiare i 50anni di arte così?
«Senza retorica è un momento di divertimento vero. Dico divertimento perché se uno dice “gioia” sembra falso, ma è proprio così. È straordinario vedere la gente che viene».
Non dica che non se l’aspettava?
«Così tanta, lo giuro, non lo immaginavo. Era tutto nato come una rimpatriata con il pubblico romano, e invece ci stanno chiedendo altre serate. Io non ho più tanta voglia di fare queste cose, ma vista la richiesta...».
Qual è il segreto?
«Il fatto che hai lavorato bene, nella tua linea. Non posso dire di essere un rivoluzionario culturale, ma neanche un reazionario, ho solo lavorato bene. A poca distanza dall’Auditorium c’è il Globe Theatre, che è una mia modestissima proposta fatta a suo tempo al Comune di Roma, città che così si è dotata di un altro teatro il quale va benissimo».
Lei è uno dei grandi del nostro teatro.
«Ma anche se lo dico a che serve? Vede, la mia storia è strana perché io ho iniziato con quel teatro che, come diceva Gigi Magni “ce vò l’astrologo pè capì che vor dì”, teatro di altro segno espressivo. Ma con A me gli occhi please, in un teatro tenda e un linguaggio più popolare, tutto è cambiato, capii molte cose, sia artistiche che produttive. Con Roberto Lerici mettemmo insieme la qualità e il divertimento, fuori dal teatro istituzionale. A me gli occhi... fu il primo spettacolo a 360 gradi, la formula era quella di mettere insieme generi diversi, stili teatrali lontanissimi, da Laforgue a Petrolini, che è quello che continuo a fare. E poi non ho mai fatto una comicità basata sull’attualità e questo mi ha consentito di avere un repertorio che oggi è da antiquario non da robivecchi».
Ha mai fatto degli errori?
«In teatro no, rifarei tutto. Forse avrei dovuto stare sulle cose per meno tempo, fare più esperienze, però io mi sono prodotto da solo molto presto, quindi ho fatto in modo che gli spettacoli potessero rendere a lungo. E poi mi sono concentrato sul rapporto con Roma: ho aperto tre teatri, veramente una grande soddisfazione».
E la tv?
«Non si può dire che abbia fatto una carriera vera. Prima del Maresciallo Rocca avevo fatto una paio di cose che avevano funzionato ma per gli esperti ero uno che non buca lo schermo. Poi, prima con la miniserie Un figlio a metà e poi con Rocca non ho bucato, ho proprio sfondato. Morale: per ognuno c’è il ruolo giusto, se si fa fare il mestiere».
E si è trasformato in un divo popolare...
«Le etichette hanno un senso a seconda da dove le si guarda. Una canzone massimamente popolare romanesca come “Nina” è per alcuni un esempio di raffinatezza intellettuale. Nel teatro ci sono tre miliardi di definizioni, di aggettivi, scelga lei quello che le piace di più».
Unico neo in tanto successo è il cinema?
«Non ho mai fatto davvero cinema, ho fatto dei film».
I registi non l’hanno capita?
«Forse non ho capito io quello che volevano da me, i Brass, i Citti... Ma sono contento di aver fatto quello che a suo tempo sembrava un filmetto, Febbre da cavallo che oggi è un cult con la gente che conosce le battute a memoria e in rete vive ancora egregiamente».
Cos’ha in programma per i prossimi 50 anni?
«Essere Gigi Proietti. Mi sembra già abbastanza».