la Repubblica, 1 giugno 2015
Clinton, il re dello speach. Secondo il Washington Post, l’ex presidente ha guadagnato 105 milioni di dollari per 542 discorsi fatti in tutto il mondo da quando ha lasciato la Casa Bianca, è riuscito a incassare anche 800mila dollari per una singola orazione. C’è chi grida allo scandalo ma a quanto pare è tutto legale, Bill è il più carismatico e richiesto nel circuito degli speaker disponibili
Escono ogni giorno nuove rivelazioni sul comportamento discutibile dell’ex presidente Bill Clinton e di sua moglie Hillary, candidato democratico alle elezioni del 2018. L’ultima notizia, pubblicata nei giorni scorsi sul New York Times, racconta che l’ex presidente Clinton si è reso disponibile a presenziare a una commemorazione delle vittime dello tsunami nell’Oceano Indiano del 2004 solo dopo aver intascato un contributo di 500mila dollari per la Fondazione di famiglia. Niente di illegale. La Fondazione Clinton fa un ottimo lavoro caritatevole; tuttavia, c’è qualcosa di molto deplorevole quando un ex presidente spreme 500mila dollari a una piccola organizzazione filantropica a beneficio della sua Fondazione, dieci volte più ricca. Secondo il Washington Post, l’ex presidente ha guadagnato la stratosferica somma di 105 milioni di dollari per 542 discorsi fatti in tutto il mondo da quando ha lasciato la Casa Bianca, nel gennaio del 2001, al 2013, quando Hillary Clinton si è dimessa da Segretario di Stato dell’amministrazione Obama. Circa metà dei 105 milioni proviene da gruppi statunitensi, soprattutto grandi banche e compagnie nel settore della finanza, mentre la maggior parte del suo reddito, 56 milioni, viene da discorsi fatti all’estero, dalla Cina al Giappone, fino all’Italia. In alcuni casi, l’ex presidente ha incassato anche 800mila dollari per una singola orazione.
Questo rapido arricchimento dei Clinton non sembra presentare problemi legali. L’elenco di ex politici che incassano somme notevoli in questo modo è lungo e l’ex presidente Bill è il più carismatico e richiesto nel circuito degli speaker disponibili. Al contempo, i discorsi pronunciati all’estero da Hillary Clinton sollevano alcune perplessità. Il caso più inquietante è quello di una compagnia canadese che possiede delle miniere di uranio, l’elemento chiave per produrre bombe atomiche. Il capo della compagnia canadese, John Christensen, ha donato 2,35 milioni di dollari alla Fondazione Clinton mentre stava per cedere la maggior parte della sua azienda a una compagnia russa. La vendita di Uranium One ha concesso alla Russia il controllo di circa il 20% della produzione di uranio di tutti gli Stati Uniti. Poco dopo l’annuncio dell’intenzione dei russi di comprare Uranium One, Bill Clinton ha ricevuto 500mila dollari per fare un discorso a Mosca, somma consistente sborsata da una banca di investimento russa, vicino al Cremlino.
Non ci sono prove che le attività redditizie del marito abbiano influito nelle decisioni della politica estera degli Stati Uniti ma tra gli elettori democratici americani c’è una sensazione di dejàvu alquanto preoccupante. Eccoci di nuovo con i Clinton. Lo scandalo dei discorsi del marito, se si può considerare uno scandalo – perché arricchirsi (se possibile legalmente) è un diritto sacrosanto, negli Stati Uniti –, è scoppiato dopo la vicenda delle email di Hillary. Si è saputo, qualche mese fa, che durante il suo mandato al ministero degli Esteri, la Clinton ha usato la sua posta privata anziché il sistema ufficiale del ministero. Questo, in un tentativo (fallito) di tenere la sua corrispondenza lontano dagli occhi invasivi della stampa e dei suoi nemici politici. La sua mossa contravveniva alle direttive degli ultimi quindici anni che obbligano, nel nome della trasparenza, che tutti i messaggi email governativi vengano depositati negli archivi nazionali e conservati per i posteri. Naturalmente la Clinton ha dovuto alla fine rendere pubbliche le sue email, che finora non hanno rivelato nulla di particolarmente sconvolgente, in barba alle speranze dei repubblicani, che pensavano di trovarvi le prove di chissà quale congiura.
Ma questo duplice scandalo – quello dei discorsi del marito e quello delle email della Hillary – ha un filo conduttore, quello che alcuni hanno chiamato “the Clinton way” (il modo dei Clinton). In sostanza, una tendenza di raggirare le leggi, di considerarsi un po’ al di sopra delle regole, di avere una bussola etica difettosa e uno scarso senso del decoro.
Finora, queste rivelazioni non hanno avuto alcun impatto sui sondaggi sull’opinione pubblica. Forse perché Hillary Clinton e suo marito sono così conosciuti che la maggioranza degli americani ha già deciso cosa pensare di loro. Alcuni li detestano, altri li ammirano ma è difficile cambiare opinione sui due. In più, il cinismo nei confronti del mondo politico è tale che il comportamento discutibile dei Clinton non sembra poi così terribile in fondo. Ricordiamoci che il leader dei repubblicani al Congresso, John Boehner, alcuni anni fa ha personalmente distribuito assegni dell’industria del tabacco nella Camera dei rappresentanti – atto incredibile ma perfettamente legale.
Per molti elettori democratici, questi nuovi capitoli della famiglia Clinton aggiungono stanchezza e frustrazione al fatto di non avere altri candidati con una legittima chance di vincere la presidenza. Ma la mancata diminuzione di popolarità della Clinton può anche rivelare una certa saggezza da parte dell’elettorato: conta molto meno la personalità dei candidati rispetto alle posizioni dei partiti. I repubblicani hanno una vasta rosa di candidati possibili ma il programma di chiunque di loro sarà una variabile del solito programma repubblicano: tagliare le tasse ai più ricchi e tagliare i servizi agli altri.