la Repubblica, 1 giugno 2015
È che Berlusconi resta Berlusconi. Vince, perde, pareggia, muore, rivive, resiste, ma quasi non ha importanza perché l’esito delle regionali gli restituisce la più ambigua e periclitante continuità
Certo mal si accordano, scampoli di exit poll e indefinibili proiezioni, con la tradizione ermetica e cabalistica; né una tornata amministrativa ha molto a che fare con la teoria della sincronicità o con il principio dei nessi acausali che Carl Gustav Jung elaborò, su ispirazione dell’I-Ching, più di 60 anni orsono.
E tuttavia da quel poco che si capisce, non è più e non è tanto la fine del berlusconismo che viene fuori dalle urne, ma qualcosa di più complicato forse perché ormai troppe volte agognata, annunciata, negata, rimandata, questa fine che non finisce mai. Un esito che con qualche anticipo, ancora una volta, restituisce al Cavaliere la più ambigua e periclitante continuità.
E allora viene da pensare alle ultime ore della campagna elettorale, allorché l’uomo sotto il cui dominio è ruotata la storia d’Italia nell’ultimo ventennio, ha «sbagliato comizio»; e quindi sceso dall’automobile, e ritrovatosi immerso in un clima reso ancora più surreale dalla sua stessa presenza, con il piglio dell’ultima ora Silvio Berlusconi ha raccomandato agli increduli militanti del Pd di votare, appunto, il candidato del Pd.
Lui ha poi spiegato che non era un errore. Ma era per curiosità, tanto da raggiungere presto i suoi, che erano poco lontani. Ma ancora oggi la faccenda resta assai buffa, e spassosissimo l’equivoco, sintomo terminale, si potrebbe qualificarlo, di vana improvvisazione e spiccato rimbambimento.
Sennonché, al netto delle risate e degli effetti simbolici che gli errori si tirano dietro, il sospetto è che forse non si è prestata la dovuta attenzione a dove questa incredibile scenetta ha avuto luogo: a Segrate. Ed è qui, in questo lembo di pianura padana, che sia pure con un temerario salto si ritorna al pensiero magico, agli accadimenti precognitivi, insomma a quelle coincidenze che, tra tempo e spazio, Jung designò come «significative».
Esistono in Italia oltre 8 mila comuni: che cosa ha spinto il vecchio Silvione a materializzarsi inaspettatamente proprio nella piazza di Segrate? Dice: è vicina a casa sua, ad Arcore. E sarà. Ma quale misteriosa energia, quale arcano ha determinato quella deviazione in extremis e che senso si può attribuire a una di quelle figuracce che comunque fanno, anzi seguitano a fare di Berlusconi un personaggio unico, che fa ridere e disperare, che sorprende, indigna e commuove?
Bene. Sia come sia, è esattamente a Segrate che inizia la prodigiosa avventura berlusconiana: i sogni, le opere, i miliardi, i successi, le male arti e poi il gusto del potere. C’è pure un cippo di marmo, più discreto di quanto l’incombente megalomania potrebbe far immaginare, che lo ricorda sul limitare di quella che nella prima metà degli anni 70 il non ancora Cavaliere edificò come se fosse un’ideale di urbanistica rinascimentale: Milano 2, «la Città del Sole».
Fu questa, nel comune di Segrate, la prima lottizzazione, la prima costruzione, la prima speculazione, la prima televisione, a circuito chiuso, e anche la prima corruzione, in termini di appartamenti e quattrini agli assessori della giunta di centrosinistra: vedi l’ampia ricostruzione di Michele Lucia, «Al sotto di ogni sospetto», Kaos, 2014. Grazie all’embrione dell’ospedale San Raffaele, presente in zona, il capolavoro fu di far deviare la rotta degli aerei che partivano e atterravano sulle vicine piste di Linate. Non solo per dovere di cronaca si può aggiungere che sui primi capitali impiegati per questa impresa gravano i primi gravi sospetti di investimenti mafiosi.
Gli abitanti di Segrate tutto ciò lo sanno. A Berlusconi devono tutto senza dovergli niente. Così l’altro giorno, quando ha fatto quel suo pazzesco numero, vero o fasullo che fosse, l’eterna commedia ancora una volta ha superato la dimensione puramente politica per proiettarsi chissà dove.
Forse quella visita era un ritorno sentimentale alle origini. Forse davvero uno scherzo agli avversari. Forse un segnale di attivismo disperato, come quando il Cavaliere si attaccava al telefono per convicere le operatrici telefoniche notturne dei sexy-talk. Forse uno di quei giochi di prestigio, di specchi e di sponda che nel bene e nel male hanno ipnotizzato il paese per così a lungo.
Così l’epopea berlusconiana continua a Segrate, perché guarda il caso – e guarda Jung, guarda i luoghi, i momenti e i segni disseminati come se volessero comunicare qualcosa – sempre lì a Segrate ha sede la Mondadori, per la quale alla fine degli anni 80 divampò la guerra che proprio da quella cittadina prese il nome. Spalleggiato dal Caf, il Cavaliere fece l’impossibile per conquistare ed entrare da padrone sotto le bianche arcate di Oscar Niemeyer.
Tutto ancora e sempre lì. Gli intrighi con gli eredi di Arnoldo, la sconfitta, il lodo negoziato dall’andreottiano Ciarrapico, quindi la vittoria, ma con la frode. Giudici acquistati, il caso Ariosto, il disvelamento dei conti All Iberian, le manovre di Cesare Previti e la sua prigionia. Infine quella sberla di risarcimento alla Cir.
E poi? Sulla piazza del Pd un vecchietto rimba viene a chiedere voti non si capisce bene per chi. Ma forse non è così. È che Berlusconi resta Berlusconi. Vince, perde, pareggia, muore, rivive, resiste, ma quasi non ha importanza. C’è qualcosa di più, e di meno. La fine anche biologica di un ciclo, ma prima ancora la corda pazza con cui tutto avviene. Risate e sgomento ancora una volta non sono incompatibili.