Corriere della Sera, 29 maggio 2015
L’incidente mortale causato da un gruppo di rom a bordo di un’auto, la fuga di Antony, l’abbandono della moglie e la versione del padre: «Guidavo io, lo giuro, ma ero ubriaco. Mio figlio nemmeno c’era. Dovevo andare dal medico, perché ho il pacemaker, ma quando ho visto che la polizia mi inseguiva sono fuggito: mi hanno ritirato la patente proprio per ubriachezza». Ma la polizia non gli crede
Il padre Bathu ha cercato fino all’ultimo di difenderlo addossandosi ogni colpa. La polizia non gli ha creduto e lo ha rilasciato. Ma lo stesso non ha fatto con la giovanissima moglie di Antony H., il sedicenne rom bosniaco ricercato da mercoledì sera in tutti i campi nomadi della Capitale – ma anche in quelli del Lazio e del Centro Italia – per l’incidente in via Mattia Battistini, fra Boccea e Primavalle, dove la colf filippina Corazon «Corie» Peres Abordo, 44 anni, è morta sul colpo e altre otto persone sono rimaste ferite, quattro delle quali in modo grave.
Maddalena, 17 anni, si trova infatti nel carcere minorile di Casal del Marmo accusata di concorso in omicidio volontario, lesioni gravissime e omissione di soccorso. È stata interrogata dagli investigatori della Squadra mobile, diretti da Luigi Silipo, ai quali avrebbe fornito versioni ora al vaglio. Come quella data dal suocero che nel pomeriggio è tornato nel campo in via della Monachina, sul viadotto dell’Aurelia. «Guidavo io, lo giuro, ma ero ubriaco. Mio figlio nemmeno c’era. Dovevo andare dal medico, perché ho il pacemaker, ma quando ho visto che la polizia mi inseguiva sono fuggito: mi hanno ritirato la patente proprio per ubriachezza», ha raccontato il cinquantenne alla polizia.
Gli altri del campo hanno chiesto perdono. Per chi è ancora da vedere. «Chi ha sbagliato è giusto che paghi, ma non attaccate tutti per gli errori commessi da altri», spiegano i parenti di Antony e Maddalena, che hanno una bimba di 10 mesi. La nonna racconta che la coppia «di solito fa qualche passeggiata e ogni tanto va in discoteca. Lei studia dalle suore per terminare la terza media, lui si arrabatta ai mercati generali e cerca ferro nei cassonetti». La sorella di «Tony» ha anche lanciato un appello al ricercato, smentendo di fatto il padre – «Torna e andiamo dal pm, spiegheremo tutto» —, ma ora alla Monachina i rom hanno paura di ritorsioni. Stessi timori negli altri insediamenti della Capitale dove già da mercoledì sera è stata intensificata la vigilanza esterna. Ma le indagini della Mobile riguardano proprio le altre strutture dove vivono circa 7 mila rom: in particolare quello in via Cesare Lombroso, nella zona di Monte Mario Alto, ben conosciuta dalle forze dell’ordine che hanno compiuto diverse operazioni anticrimine. Antony non è infatti l’unico ricercato. Con lui e Maddalena c’era un altro rom, un ragazzo più grande, scomparso nel nulla con il sedicenne. E c’è il sospetto che il misterioso personaggio provenga proprio dal secondo insediamento. Ieri in Questura sono stati ascoltati molti rom, almeno una ventina. In serata sono stati tutti rilasciati. «Lavoriamo senza sosta. Stiamo facendo il massimo dello sforzo per assicurare i due fuggiaschi alla giustizia. Battute e ricerche sono ancora in corso a Roma e provincia per prenderli al più presto», assicura il questore Nicolò D’Angelo. La polizia scientifica ha analizzato la Lybra da cima a fondo alla ricerca di impronte digitali – soprattutto quelle sul volante per scoprire subito chi guidava al momento dell’incidente in via Battistini —, ma accertamenti sono in corso anche sui tabulati telefonici dell’apparecchio che sarebbe stato trovato nella station wagon: non si esclude che prima di schiantarsi contro una Cinquecento e abbandonare la vettura (oltre che la moglie) fra Torrevecchia e Montespaccato, Antony e il complice abbiano chiamato qualcuno per chiedere aiuto.