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 2015  maggio 29 Venerdì calendario

«I rapporti tra il nuovo governo di Atene e l’ex Troika sono cominciati male perché noi eravamo stati eletti proprio per mettere fine all’austerità mentre dall’altra parte del tavolo c’erano le stesse persone che l’avevano suggerita». Dragasakis, il numero due del governo di Atene, il ministro che coordina il team di economisti da quando Varoufakis è diventato un problema, sostiene che alla firma manca «la volontà politica di tutte le parti»

Dottor Dragasakis, perché voi greci rallentate i negoziati e non presentate piani precisi per poter ricevere i prestiti e far uscire così tutta Europa da questa costosa incertezza?
Il numero due del governo di Atene prende del tempo. Da quando l’esplosivo ministro delle Finanze Yanis Varoufakis è diventato un problema nel problema, è lui che coordina il team di economisti ai vari tavoli con l’ex troika e lui che, al contrario del professore greco-australiano, parla pochissimo, sbotta: «Quello che sta dicendo è completamente falso».
Eppure è ciò che ripete da mesi chi tratta con voi riforme e prestiti.
«Noi abbiamo presentato proposte molto particolareggiate e coerenti su ogni tema. Dal mio punto di vista ci sono tutte le condizioni per poter firmare un accordo nell’immediato futuro. Naturalmente sono le “nostre” proposte. E non sempre sono appetibili per la controparte».
Perché tanta differenza tra ciò che dicono gli europei o il Fondo monetario internazionale e ciò che dite voi greci?
«Non nascondiamoci dietro un dito. È ovvio che, in questi negoziati, ci sia un’agenda politica parallela a quella meramente economica. Oltre a tutto, noi non abbiamo mai tentato di infilarci in un cavallo di Troia, non abbiamo mai mascherato la nostra identità e le nostre idee. Al contrario tutti sanno che non condividiamo questa versione neoliberista dell’Europa. Ancora prima delle elezioni di gennaio Syriza – il partito di sinistra-sinistra guidato dal premier Tsipras – aveva proclamato la necessità di un modello di Paese e di Unione continentale lontani dal dogma dell’austerità e dalla logica delle rotture che porterebbero alla dissoluzione dell’Europa».
Quindi, siccome credete di avere ragione, gli altri si devono adeguare?
«Primo, non siamo i soli a pensarla così. In un modo o nell’altro l’idea emerge in molti altri Paesi. È una realtà da considerare. Secondo, i rapporti tra il nuovo governo di Atene e l’ex troika, sono cominciati male perché noi eravamo stati eletti proprio per mettere fine all’austerità mentre dall’altra parte del tavolo c’erano le stesse persone che l’avevano suggerita. Per fortuna almeno questa ambiguità è stata superata con l’accordo del 20 febbraio quando tutti concordarono che era necessario rispettare tanto le regole europee quanto la volontà popolare».
Terzo? C’è un terzo?
«Sì, noi abbiamo fatto concessioni rilevanti che ci permetterebbero comunque di restituire i prestiti senza distruggere il Paese».
Cosa state proponendo che i creditori non digeriscono?
«Non vogliamo tornare all’austerità, ma profonde riforme nella macchina statale, nel suo modo di operare, nel Fisco, nel modello produttivo».
E vi dicono di no?
«Si lavora ad un mix tra basso surplus primario, restituzione sostenibile del debito, pensioni che reggano a lungo termine, diritti civili solidi che comprendano il ritorno delle negoziazione collettiva».
Equilibrio difficile perché, se poi i conti non tornano, a pagare sarebbe l’Europa. Non crede?
«Durante i negoziati, a tutti i tavoli di discussione, noi sosteniamo la necessità di liberare le energie produttive, di avviare investimenti, di riorganizzare il carico fiscale spostandolo sugli oligarchi e sui gruppi di interesse sedimentati. Senza crescita, senza giustizia sociale, senza partecipazione civile, la Grecia non potrà essere riformata. E invece ne ha un enorme bisogno. Non solo per se stessa, ma anche nell’interesse dei creditori: per poter restituire i debiti».
Cosa manca alla firma?
«La volontà politica di tutte le parti».