La Stampa, 27 maggio 2015
Come scomparirebbe Ettore Majorana nell’epoca dei social network? Una graphic novel e un test mentale sul padre del Fermione
Se la vicenda del fisico Ettore Majorana, scomparso nel 1938, è un giallo che nutre la cronaca ancora oggi, il suo genio non è da meno e riemerge periodicamente nella ricerca degli anni Duemila.
Quando il giovane scienziato della squadra di via Panisperna propose l’esistenza del «Fermione» non immaginava quanto il significato di questa teoria fosse legato al proprio destino: scomparire per ricomparire di tanto in tanto nelle inchieste della polizia, o nelle carte di amici e colleghi, è la stessa sorte della sua particella, ora avvistata nei test sulla materia condensata, ora negli studi che ne sostengono l’identità con il neutrino.
Non è facile, in effetti, descrivere cosa sia un Fermione, senza carica e senza spin, e dunque non adatto a interagire con campi elettrici o magnetici o con la stessa materia. E sono diversi i tentativi di dargli un’identità per lo meno semantica, nominandolo «quasiparticella» o «x-particle», a insinuare qualcosa di incognito rispetto alle lenti dell’esperimento eppure visibile nelle equazioni. Un’oscillazione vertiginosa come la storia del suo «padre».
Silvia Rocchi, artista, e Francesca Riccioni, divulgatrice e fisica di formazione, raccontano questi paradossi in una graphic-novel, «Il segreto di Majorana», Rizzoli Lizard: lo fanno proprio con l’espediente del parallelo tra la vita dello scienziato e la sua particella. Due «fantasmi». E la retorica della metafora non è così lontana dalla realtà, se il Fermione di Majorana è considerato una particella che è anche il suo opposto. «Immaginiamo due bicchieri d’acqua, pieni a metà, che rappresentano l’uno il Fermione e l’altro la sua antiparticella – si spiega nel libro -. Sono identici, eppure, se affermassimo che il primo è mezzo pieno e il secondo mezzo vuoto, diremmo sempre la verità». Il paradosso, al momento, non ha soluzione, come il giallo di Majorana, riproposto in film e libri, a cominciare da «Il caso Majorana» del 1975 di Leonardo Sciascia, che ipotizza una fuga dal mondo nella Certosa di Serra San Bruno. Tra chi scarta l’ipotesi del suicidio c’è anche lo dà in fuga nella Germania del Terzo Reich o emigrato in Argentina, mentre altri ancora l’hanno immaginato «nomade» nella sua Sicilia. Uno degli ultimi «avvistamenti» sarebbe quello, tra 1955 e 1959, nella città venezuelana di Valencia.
Majorana, però, non è mai stato trovato, né vivo né morto, e resta un «cold case». In tanti sostengono che si trattò di «allontanamento volontario». E, se fu così, probabilmente non fu difficile scomparire. Almeno nel 1938. Ma oggi? Ci ha ragionato il massmediologo Tiziano Bonini, ricercatore allo Iulm di Milano, nella post-fazione al libro. Come sarebbe stata la fuga di Majorana oggi, nell’epoca delle tracce elettroniche? «La scomparsa di Majorana ai tempi dei social media» diventa così un esperimento mentale, con un «decalogo» per annullarsi. Tra i suggerimenti, cancellare tutti gli account (se non sapete come fare, accountkiller.com vi darà una mano), rimuovere i risultati delle ricerche di Google su di voi, scrivendo ai siti che vi citano, buttare il cellulare in mare. A Majorana, che scomparve quando smartphone e Facebook non esistevano, certe rinunce non costavano evidentemente nulla, ma – si chiede Bonini – chiunque di noi, abituato a controllare e commentare tutto sulla rete, sarebbe pronto?
(1 – Continua)