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 2015  maggio 27 Mercoledì calendario

«Sono malvagi, sadici, manipolativi: meritano 15 anni di carcere». Ecco la richiesta dell’accusa per la coppia dell’acido, Alexander Boettcher e Martina Levato. Nessuno dei due ha plagiato l’altro. L’avvocato del ragazzo sfregiato: «Per loro servirebbe una condanna esemplare, che sia un messaggio per la cittadinanza. Lanciare acido è un gesto banale, alla portata di tutti, ma ha conseguenze devastanti»

Alexander Boettcher ha un carattere con «tratti di sadismo, ossessività, tendenza al controllo e al potere». Martina Levato ha una «personalità borderline»: vicino all’amante ha soddisfatto «il suo bisogno di stare accanto a una persona che le garantiva riscatto sociale, un ambiente di successo, una sessualità libera e forte». Tutti e due sono «egocentrici, manipolativi». Gli psichiatri hanno ricostruito le dinamiche della coppia, hanno stabilito che erano lucidi e coscienti mentre, giorno dopo giorno, affondavano nella loro deriva criminale. Fino al pomeriggio del 28 dicembre 2014, in via Giulio Carcano, Milano: i due contenitori di acido scagliati sul volto dello studente Pietro Barbini sono stati l’arma e il simbolo per «purificare» le passate relazioni sessuali di Martina. Nessuno dei due ha avuto un ruolo dominante sull’altro, e per questo il pm Marcello Musso chiede la stessa condanna per entrambi, 15 anni di carcere, già «scontati» di un terzo per il processo con rito abbreviato.
Non sono killer, perché non hanno ucciso. Ma quando si muovevano nelle notti di Milano, si appostavano, pedinavano le vittime, ordinavano acido via Internet, l’ex studentessa della Bocconi e il facoltoso amministratore del patrimonio immobiliare di famiglia seguivano un programma tipico dei serial killer. Con l’obiettivo di sfregiare e martoriare i volti dei giovani che avevano «toccato» Martina. «Un programma agghiacciante: ripercorrere a ritroso il passato sessuale della ragazza e purificare il suo peccato». Oltre a Barbini, hanno sfregiato Stefano Savi (per uno scambio di persona) e tentato di aggredire il fotografo Giuliano Carparelli. Questi agguati saranno al centro di un altro processo, ma sono stati ricostruiti soltanto a partire dal 28 dicembre, dopo l’arresto di Martina e Alexander. È stato, per mesi, un lavoro di squadra: il sacrificio e la tenacia del pm Musso, l’attenzione del procuratore Alberto Nobili, il lavoro e l’analisi della Settima sezione dell’Ufficio prevenzione generale della polizia, diretto da Maria Josè Falcicchia.
Ricostruire il tecnicismo giuridico usato per la richiesta della pena è necessario per comprendere la «barbarie», come ha detto il pm ieri in aula, citando «la banalità del male». Si parte dalla base di 12 anni per le lesioni; l’acido «ha distrutto le sembianze del viso di un ragazzo, che non sarà mai più lo stesso». E poi ci sono le aggravanti: 4 anni per la premeditazione, perché Alex e Martina hanno attirato Pietro in trappola con molte telefonate, con la scusa di dovergli consegnare un regalo di Natale; hanno covato il progetto per giorni, pura «espressione di malvagità umana». E ancora: 2 anni e 6 mesi per i motivi «abbietti» all’origine dell’agguato, e cioè il «morboso desiderio di lavare il passato sessuale della ragazza». Quell’occasionale rapporto che Martina aveva avuto oltre un anno prima col suo ex compagno del liceo «Parini» è stato solo «un pretesto per lo sfogo di un impulso violento». Si devono aggiungere, secondo il pm, un anno e 6 mesi per l’uso di una sostanza corrosiva; più un anno per aver agito in coppia e un altro anno e mezzo per la crudeltà: Martina ha lanciato due contenitori di acido, Alexander inseguiva Pietro impugnando un martello. In tutto, una richiesta di 22 anni e mezzo, che scende a 15 per la scelta dell’«abbreviato» fatta dagli imputati. «Il minimo che ci auspichiamo», commenta Paolo Tosoni, legale della famiglia Barbini che ha chiesto un risarcimento di 2,8 milioni. «Servirebbe una condanna esemplare – aggiunge l’avvocato – che sia un messaggio per la cittadinanza. Lanciare acido è un gesto banale, alla portata di tutti, ma ha conseguenze devastanti. Una condanna importante è necessaria per definire la gravità del reato ed evitare l’emulazione».