la Repubblica, 27 maggio 2015
Il primo ergastolo a uno scafista: «Provocò la morte di almeno 17 persone». Neanche per il naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa quando morirono 366 migranti è stata inflitta una pena tanto alta. In quell’occasione il comandante somalo è stato condannato a trent’anni
A indicarli furono molti dei 206 sopravvissuti a quel drammatico naufragio. Haj Hammouda Radouan, tunisino, 23 anni, era il comandante, Hamid Bouchab, marocchino, 23 anni anche lui, il “mozzo”. A cinquanta miglia dalle coste libiche da cui erano partiti avrebbero spento i motori di quel vecchio peschereccio di 25 metri pieno zeppo di migranti facendo partire la chiamata di soccorso. Poi, come spesso accade, il movimento delle persone a bordo fece inclinare la barca provocandone il ribaltamento. I cadaveri recuperati furono solo diciassette, e tra questi quelli di due bambine piccolissime, ma si parlò di circa duecento dispersi. Ieri, un anno dopo, il gup di Catania (con il rito abbreviato) ha inflitto al tunisino l’ergastolo, la pena più alta mai inflitta fino ad ora ad uno scafista. Neanche per il naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa quando morirono 366 migranti è stata inflitta una pena tanto alta. In quell’occasione il comandante somalo è stato condannato a trent’anni.
«Si tratta di una sentenza di grande importanza che premia la determinazione dell’ufficio del pm nel punire coloro che mettono deliberatamente in pericolo la vita dei migranti e che giunge ad appena un anno dai fatti, dopo indagini complesse sul piano tecnico e della qualificazione giuridica dei fatti» ha sottolineato il procuratore di Catania Giovanni Salvi, ricordando come la sentenza costituisca un precedente giuridico perché «si è affermata per la prima volta la sussistenza della giurisdizione italiana anche per i fatti di naufragio e di omicidio commessi in alto mare, in acque internazionali». A differenza del naufragio di Lampedusa, avvenuto a poche miglia dall’Isola dei Conigli, infatti, in questo caso i superstiti furono salvati a sole 50 miglia dalle coste libiche prima da un rimorchiatore e poi dalla fregata Grecale che sbarcò i sopravvissuti e le diciassette vittime recuperate a Catania. Grazie alle testimonianze di molti dei superstiti, nel giro di 48 ore, gli investigatori della squadra mobile riuscirono ad individuare i due scafisti, il tunisino Radouan e il marocchino Bouchab (per lui la condanna a dieci anni), accusati di naufragio e omicidio volontario plurimo.