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 2015  maggio 22 Venerdì calendario

Per Alibaba il vero nemico è interno. Il colosso cinese dell’e-commerce tra class action e le resistenze degli acquirenti. Tutti i problemi di Jack Ma, l’uomo più ricco della Cina

Il colosso cinese dell’e-commerce Alibaba che quest’anno vuol superare il volume di vendite della catena Wal Mart, si ritrova assediato dalle class actions americane. Prima l’attacco dell’Associazione dei produttori di abbigliamento Usa, poi il ritorno sul sentiero di guerra di Kering spa, la holding francese proprietaria dei marchi Gucci e Yves St. Laurent. Per anni la Cina è stata la Mecca delle case del lusso straniere, con crescite del fatturato a doppia cifra. Ma la musica è cambiata e società come Kering spa hanno perso terreno a causa dell’effetto combinato del rallentamento dell’economia cinese e, soprattutto, della campagna moralizzatrice anti-lusso, fiore all’occhiello del presidente Xi Jinping.
In queste condizioni i mancati guadagni legati al business dei falsi online non sono più tollerabili e il capro espiatorio è diventato Alibaba che attraverso Taobao e Tmall controlla l’80% delle vendite online cinesi e movimenta merci da 97 miliardi di dollari (al 31 marzo scorso), accusato addirittura di favorire l’uso di algoritmi che permettono ai compratori di intercettare i falsi.
Pur operando essenzialmente in Cina, Alibaba si è quotata il 18 settembre 2014 a Wall Street, una matricola da 200 miliardi dollari di capitalizzazione di borsa, in pratica quanto Amazon e eBay messe insieme. E Jack Ma, con un bottino personale di 7 miliardi, è diventato l’uomo più ricco della Cina. Ma la collaborazione con marchi come Nike e Adidas per rimuovere i falsi da Tmall e Taobao, le due piattaforme più famose di Alibaba, la cacciata di 40mila venditori, i protocolli d’intesa sulla cooperazione con marchi, tra cui Microsoft, Apple e Louis Vuitton, non sono serviti a nulla.
E mentre il caso 15-cv-03784 Gucci America Inc. contro Alibaba Group Holding Ltd., attivato nel distretto Sud di Manhattan si profila di incerta soluzione, Alibaba ha già perso finora 75 miliardi di valore di mercato e circa il 15% in borsa dall’inizio dell’anno. Il futuro di Alibaba però non si decide in una Corte di New York, ma in Cina, a casa propria. Qui la class action non esiste, a malapena il Paese si sta dotando di una legge sull’e-commerce a partire dall’anno prossimo, però ci sono due bestie nere dalle quali Jack Ma dovrà guardarsi.
Una è il ministro dell’Industria Zhang Mao, l’altra il popolo degli haitao, i compratori di beni di lusso da siti stranieri, quelli che non vogliono più pagare il sovraprezzo ai grandi marchi e soprattutto vogliono acquistare prodotti autentici.
Il ministro Zhang Mao, infatti, ha avviato una guerra santa contro i falsi, spalleggiato dal collega ministro della Sicurezza: un bottino di 59mila arresti – in Cina la contraffazione è un crimine – 9mila tonnellate di prodotti contraffatti e scadenti, del valore di oltre 28 miliardi di dollari.
A gennaio, a Pechino, è scoppiata una vera e propria diatriba tra Alibaba e il ministero dell’Industria a causa di un rapporto sulla percentuale di prodotti falsi riscontrata su Taobao, addirittura il 40%, che peraltro sarebbe stata sottaciuta in occasione della quotazione in borsa a Wall Street. Le frizioni si sono poi apparentemente sopite, in vista anche della svolta di Pechino sulla regolamentazione dell’e-commerce, sbandierata dallo stesso ministro durante le Due Sessioni del Parlamento a marzo. Ma nel rapporto del mistero le accuse, sembra, fossero ben più dettagliate, dall’accusa di consentire ai commercianti di operare senza le licenze necessarie, per attivare negozi autorizzati a cooptare marchi famosi e vendere falsi, dalle borse al vino.
Tutte accuse che però non hanno avuto per Alibaba alcun effetto giudiziario, come hanno riferito gli stessi Zhang Mao e Jack Ma dopo un incontro chiarificatore. Il che non implica la chiusura del caso, anche se Alibaba ha promesso di intensificare gli sforzi anti-falsi. Intanto Alibaba ha iniziato a sondare un altro modo per verificare a monte i falsi e ha tentato di raccordarsi con l’Aqsiq, il potente braccio operativo del ministero della Salute che vigila sui controlli all’ingresso effettuati in Dogana. Di fatto la lotta giudiziaria dei consumatori in Cina non ha molte possibilità, vincere una causa in Cina è difficilissimo, nonostante l’introduzione di Corti specializzate che peraltro si trovano solo nelle megalopoli mentre la contraffazione, sia quella made in China sia quella “importata”, sempre più spesso sfrutta snodi meno conosciuti. Però, se soltanto si riuscisse ad aggredire il problema sotto il profilo della potenziale pericolosità dei prodotti falsi per la salute sarebbe tutta un’altra storia.
Si innescherebbero sequestri a raffica anche preventivi bypassando Alibaba che, in fondo, affitta soltanto gli spazi della sua piattaforma. In realtà in Cina il mercato si ritrova in balia di dinamiche distorte anche a causa dei prezzi troppo elevati dei prodotti di lusso. Gli acquisti online realizzati per risparmiare sui prodotti dei negozi tradizionali, infatti, rappresentano uno shortcut pieno di insidie per il consumatore. Come il fenomeno dei viaggi per l’acquisto scontato di beni di lusso diventato ormai endemico, la domanda ha creato anche la figura illegale dei daigou, cinesi specializzati nell’acquisto all’estero di beni a costi ridotti da rispedire in Cina a clienti facoltosi.
In realtà i compratori cinesi più avveduti non vogliono più pagare un prezzo troppo alto alle grandi firme. E non vogliono rischiare, al tempo stesso, di comprare falsi.
Dal mondo dei daigou si sta passando a quello degli haitao. Gli haitao comprano direttamente da siti all’estero, utilizzano per i pagamenti piattaforme cinesi come Alipay, finora si contano 18 milioni di transazioni per 80 miliardi di yuan, pari a 13 miliardi di dollari nel 2013, oltre il 10% in più anno su anno, nel 2014 il giro di affari è stato di ben 120 miliardi di yuan. In fondo, i consumatori cinesi hanno comprato il 47% del totale dei prodotti di lusso, nel 2013 hanno speso circa 120 miliardi stando a China fortune character (Cfc), società che monitora il fenomeno. I cinesi restano quindi il target più importante, se ne è accorto anche il Governo di Pechino che sta per applicare importanti tagli all’export di beni di lusso per favorire il mercato interno, calmierando anche gli eccessi dei prezzi dei beni stranieri. Chanel è stata la prima società occidentale ad abbassare i prezzi dei suoi prodotti in Cina. La guerra del lusso, piuttosto che quella contro i falsi, è appena iniziata.