Corriere della Sera, 22 maggio 2015
Ultime su Domenico Maurantonio, lo studente morto in gita a Milano. Quando è precipitato non indossava gli slip. Il sospetto degli inquirenti: i suoi compagni continuano a mentire, hanno dato versioni concordate dell’accaduto
Versioni concordate. Una menzogna collettiva che regge da quasi due settimane. Le parole messe a verbale negli interrogatori da alcuni studenti della Quinta E dello storico liceo scientifico padovano Ippolito Nievo, somigliano ormai a una «recita» frutto di un accordo piuttosto che alla testimonianza reale e autentica di ragazzi di 19 anni che hanno visto il loro compagno Domenico Maurantonio precipitare per venti metri. Era l’alba di domenica 10 maggio, quinto piano dell’hotel Da Vinci, periferia di Milano. La classe, definita dai professori «esemplare», era in città per visitare l’Expo.
Chi ha assistito agli interrogatori continua a pensare che i ragazzi non abbiano raccontato la verità. E anche il legale della famiglia Maurantonio, l’avvocato Eraldo Stefani, invoca «un gesto di responsabilità» dei compagni di classe di Domenico: «Tra pochi giorni arriveranno gli esiti degli esami scientifici, la verità emergerà senza scampo». Proprio sul fronte dei test tossicologici eseguiti durante l’autopsia, ieri sono emerse le prime indiscrezioni sul tasso alcolemico riscontrato nel sangue. Sono test preliminari, mancano ancora gli esiti definitivi. Ma quella notte, Domenico aveva un tasso alcolemico inferiore a 1 grammo per litro di sangue. Un quantitativo superiore al limite consentito per mettersi alla guida di una macchina ma non così «eccessivo» come si sospettava. In ogni caso, se è vero che il ragazzo era ubriaco, difficilmente con un simile quantitativo avrebbe perso conoscenza e sarebbe poi caduto dalla finestra. Prende sempre più sostanza la pista della bravata. Uno scherzo atroce tra compagni di classe. Uno o forse più avrebbero tenuto per un braccio Domenico mentre quest’ultimo si trovava sul davanzale della finestra per defecare. Al momento della caduta, non indossava gli slip e neppure i pantaloncini: eppure, i due indumenti sono stati trovati a terra, vicino al cadavere. L’hanno confermato gli investigatori milanesi guidati dal pm Claudio Gittardi. C’è la testimonianza di un imbianchino siriano, Mohamed M., il primo a trovare il cadavere dello studente intorno alle 8 di domenica e intervistato dalla trasmissione Quarto Grado (in onda stasera): «Il ragazzo aveva la canottiera ed era senza mutande: era nudo e non era sporco. Vicino, c’erano mutande e pantaloncini… può essere che siano caduti o che fossero lì... Lui era sdraiato sul fianco».
La polizia scientifica ha trovato tracce di feci vicino all’ascensore del quinto piano (ma non all’interno) e lungo la seconda metà del corridoio, fino alla finestra. Ma sia sul davanzale sia sul pianerottolo della scala antincendio (accessibile da una porta) non sono state trovate altre tracce. Possibile che il ragazzo sia salito sul davanzale per defecare senza lasciare residui organici vicino alla finestra? Per gli investigatori è piuttosto improbabile, anche se non del tutto da escludere. Il sospetto è che il ragazzo non fosse da solo.
A Domenico era stata assegnata la camera 516, che si trova nella parte opposta rispetto alla finestra della caduta. Ma aveva dormito nella 533 (a pochi metri da quella finestra) dove sono state sequestrate bottiglie di alcolici. Gli studenti della Quinta E, nonostante l’invito dei professori, nonostante il monito del sacerdote che ha celebrato i funerali, evidentemente insistono a coprirsi l’uno l’altro. Sempre ai funerali nella chiesa di Altichiero, il quartiere della villetta dei Maurantonio, Bruno, il papà di Domenico, aveva chiesto a tutti di rispondere alla propria coscienza. E di raccontare quel che rimane segreto. La classe, come il prestigioso liceo, sembra aver dimenticato la morte del ragazzo e i misteri che la circondano. La madre di Domenico, Antonia, insegnante in un altro liceo scientifico, dice che dall’Ippolito Nievo, istituto che raccoglie i rampolli delle famiglie potenti di Padova (investigatori, avvocati, imprenditori, politici) nessuno s’è più fatto sentire, nessuno ha più chiamato. Spariti. Come se il caso fosse già archiviato.