La Stampa, 22 maggio 2015
Cosa resta di Charlie Hebdo? A quattro mesi dalla strage a Parigi lo psicodramma del settimanale satirico francese, tra copie e utili che volano e redattori che se ne vanno
Qui est Charlie?, il libro di Emmanuel Todd, «sociologia di una crisi religiosa», come recita il sottotitolo, potrebbe essere l’ennesimo problema di questo giornale satirico, che dopo gli attentati del gennaio scorso è stato scaraventato suo malgrado in pasto alla curiosità (a tratti morbosa) dei media francesi. Patrick Pelloux, 51 anni, uno dei volti simbolo del settimanale, una doppia vita da medico urgentista e cronista di Charlie Hebdo, mette subito le mani avanti: «Non l’ho letto e non lo leggerò. Mi è bastato ascoltare la sua intervista alla radio, dove ci accusava di essere islamofobi e definiva così anche chi ha manifestato per noi. Abbiamo altre priorità che il libro di Todd».
I problemi interni
Patrick esce ed entra, con le solite guardie dal corpo alle calcagna, dall’edificio del quotidiano Libération, che subito dopo la strage si è offerto di ospitare la redazione di Charlie. Siamo dietro place de la République, a una manciata di minuti da rue Nicolas Appert, dove quello stupido 7 gennaio i fratelli Kouachi fecero fuoco con i loro kalashnikov: nove morti e diversi feriti, nel corpo e nell’anima. Il palazzo di Libération è un vecchio garage degli anni 50 ristrutturato : sulla rampa i giornalisti salgono da un piano all’altro. In una sala lavorano quelli di Charlie. I contatti con i colleghi di Libé sono sporadici, a causa anche dei controlli di sicurezza ferrei. Davanti alla sala stazionano in permanenza una decina di poliziotti in borghese, le scorte dei disegnatori e giornalisti più in vista. Tutti assieme sono come una grande famiglia, «anche se cerchiamo di restare discreti, di diventare invisibili», confida una delle guardie del corpo.
A settembre Charlie Hebdo dovrebbe trasferirsi in una redazione propria, dall’altra parte della città, un vero bunker in fase di allestimento. Si dice nel 13° arrondissement, ma l’ubicazione resta segreta. Sulla scena pubblica, invece, finiscono quotidianamente i problemi interni alla redazione, «le altre priorità» a cui alludeva Pelloux. Lui arrivò sul luogo della strage pochi minuti dopo. E nei giorni successivi si liberò dal magone parlando a ruota libera davanti alle telecamere. Piangendo, soprattutto.
4,2 milioni in donazioni
A Luz, 43 anni, è andata diversamente. Disegnò la copertina del primo numero dopo il massacro, con il solito Maometto e poche parole: «È tutto perdonato». Adesso parla di «una palla in mezzo alla pancia» che è ancora lì. Pochi giorni fa Luz ha annunciato che a settembre, quando gli altri si trasferiranno, lascerà Charlie, «perché la chiusura di ogni numero per me è diventata un incubo. È estenuante trascorrere notti insonni a convocare gli scomparsi. Chiedersi cosa Charb, Cabu, Honoré, Tignous farebbero, se ci fossero ancora».
Ognuno alle prese con le sue ansie. Riss, 48 anni, ha sostituito Charb alla direzione del giornale. Deve ancora compiere continui esercizi di riabilitazione alla spalla, dove quel giorno ha ricevuto una pallottola. Ha fama di duro, di uomo che ha la testa nella macchina del giornale, nel lavoro da compiere. I sentimenti vengono dopo. È anche il proprietario del 40% di Charlie ed è finito nel mirino della maggioranza dei giornalisti (in tutto una ventina di dipendenti), compresi Luz e Pelloux, che vorrebbero ripartire il capitale equamente tra i redattori-azionisti. «Perché i soldi che sono arrivati a Charlie grazie ai doni e al boom delle vendite non appartengono agli azionisti attuali del giornale ma a tutti e soprattutto alle vittime», osserva Pelloux. Finalmente, pochi giorni fa, Riss ha assicurato che i 4,2 milioni di euro, frutto delle donazioni, saranno distribuiti interamente tra le vittime e le loro famiglie. E si è detto disposto a discutere dell’apertura del capitale, «anche se lo decideremo a settembre, non dobbiamo farlo ora sulla scia dell’emozione».
Una bella storia rovinata
Le solite faccende di soldi che vengono a rovinare una bella storia. E quanti soldi... Il giornale, che prima dell’attentato a malapena vivacchiava, vende oggi 170 mila copie ogni settimana, alle quali vanno aggiunti 270 mila abbonamenti. A fine anno potrebbe ritrovarsi con 15 milioni di euro di utili netti. Riss, comunque, ha assicurato in un’intervista a Le Monde che la vita a Charlie Hebdo, al di là degli scontri attuali, «non è mai stata un fiume tranquillo». La vita è un lungo fiume tranquillo si intitolava una commedia della fine degli Anni 80, così francese. Romantica. E tanto amara.