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 2015  maggio 21 Giovedì calendario

Alla fine l’Isis è entrato a Palmira, sito Unesco, città siriana patrimonio dell’umanità. Centinaia di statue trasferite e messe in salvo dalla furia dei jihadisti. Ma molti reperti non possono essere spostati. Obama pensa di cambiare strategia

Palmira, sito Unesco, città siriana patrimonio dell’umanità, sta capitolando in queste ore sotto l’attacco dei miliziani dell’Isis. «Il regime ha abbandonato le posizioni, la situazione è molto confusa», racconta Khaled al-Homsi, un membro del Coordinamento dei Comitati locali della città. «I soldati del regime – spiega ancora – stanno scappando dai checkpoint e l’Isis sta prendendo il controllo di buona parte degli edifici governativi e della sicurezza».
I CIVILI INTRAPPOLATI
Dopo aver catturato martedì notte la parte nord della città, i combattenti dello Stato Islamico hanno conquistato diversi postazioni governative già nella mattinata di ieri. I jihadisti, penetrati da nord e da sudest, sarebbero, mentre scriviamo, a circa trecento metri dalla palazzina dove si trovano asserragliati i militari di Damasco, rifugiatisi nell’edificio dopo aver malamente ripiegato dalle loro precedenti posizioni. Diverse centinaia di civili sarebbero rimasti intrappolati nei combattimenti e, secondo alcuni media-attivisti del posto, l’esercito governativo impedirebbe loro di allontanarsi. Altre centinaia di civili sarebbero invece riusciti a fuggire, l’ospedale è stato evacuato e si combatte ancora nell’aeroporto. «È strano – dice Samir Abu al-Kheir, giornalista locale – il regime era ben fortificato ed erano arrivati massicci rinforzi. Non si spiega come sia collassato in un modo così rapido».
I REPERTI
In una guerra che si combatte anche contro il tempo, centinaia di statue sono già state messe in salvo e trasportate, con altri reperti archeologici, in luoghi sicuri. A riferirlo è Mamun Abdulkarim, direttore del Dipartimento delle antichità siriane, citato dalla tv panaraba Al Jazeera.
Palmira, antica città semita situata a 240 km a nord-est di Damasco, punto di sosta per le carovane di viaggiatori e mercanti che attraversavano il deserto siriano, ebbe un notevole sviluppo fra il I ed il III secolo dopo Cristo. Per questo motivo fu soprannominata la “Sposa del deserto”. Il nome greco della città, Palmira, è la traduzione fedele dall’originale aramaico, Tadmor, che significa “palma”. La città è citata nella Bibbia e negli annali dei re assiri, ma in particolare la sua storia è legata alla regina Zenobia che si oppose, secondo la tradizione, ai romani e ai persiani. Poi venne incorporata nell’impero romano. Diocleziano, tra il 293 e 303, la fortificò per cercare di difenderla dalle mire dei Sasanidi, facendo costruire entro le mura difensive, ad occidente della città, un grande accampamento con un pretorio ed un santuario per le insegne per la Legio I Illirica.
A partire dal IV secolo le notizie su Palmira si diradano. Durante la dominazione bizantina furono costruite alcune chiese, anche se la città aveva perso importanza. L’imperatore Giustiniano, nel VI secolo, per la sua posizione strategica nella zona, ne fece rinforzare le mura e vi installò una guarnigione.
Sotto il dominio degli arabi, però, la città andò in rovina. Il sito archeologico che ora rischia la furia dell’Isis, che ha già massacrato antichità a Ninive, Hatra e Nimrud, usando perfino i bulldozer, comprende la via colonnata, il santuario di Bel, quello di Nabu, le Terme di Diocleziano, il teatro e l’Agora. Vere e proprie perle architettoniche. La città era già stata teatro di bombardamenti da parte del regime nel 2013 ed utilizzata anche come “retrovia”. Ora è la minaccia barbara dell’Isis, che mira anche alle installazioni militari della zona, a mettere a repentaglio la sua stessa esistenza.
LA CASA BIANCA
Ieri alla Casa Bianca il presidente americano Barack Obama ha convocato un vertice militare, e anche se le dichiarazioni ufficiali minimizzano la portata del summit e affermano che non è previsto nessun cambio di strategia, è forte la preoccupazione per gli ultimi successi militari dell’Isis.