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 2015  maggio 21 Giovedì calendario

Sul taglio ai vitalizi piovono ricorsi. Trecento consiglieri regionali di otto parlamentini, al grido di «non toccate i diritti acquisiti», si sono rivolti al tribunale. Ma tra Tar, Corte costituzionale e giudici naturali la questione non è così semplice. Da segnalare che sulla lista dei ricorrenti c’è chi prende 3.500 euro per soli sei mesi di lavoro

Un assalto all’arma bianca: 300 ex consiglieri regionali hanno deciso di rivolgersi a un tribunale – amministrativo, civile, persino la Corte dei conti – per riconquistare il tesoro perduto. Ovvero quei dieci milioni l’anno che, in tutto, otto “parlamentini” hanno sottratto loro, deliberando un faticoso taglio dei vitalizi. Proprio non va giù, a una pletora di politici a riposo, quella rinuncia forzata a una parte della “pensione”. Il sacrificio non è enorme: la media stabilita dalla conferenza dei presidenti di Regione era del 15 per cento. Meno della metà dei consigli ha applicato (spesso in ribasso) quella penalizzazione: Lombardia, Lazio, Piemonte, Trentino, Friuli, Veneto, Toscana e Marche. Le altre assemblee regionali? In gran parte ostentano un’abolizione dei vitalizi. Ma solo per il futuro. E il taglio, dove c’è stato, è comunque temporaneo: la riduzione durerà tre anni. Ma tant’è: al grido di «non toccate i diritti acquisiti» la rivolta si allarga. Gli ultimi a scendere in campo, proprio in questi giorni, sono gli ex consiglieri piemontesi. Un pool di legali sta mettendo a punto un ricorso alla Corte dei conti, che avrà in calce una trentina di firme. Fra cui quella dell’ex presidente della Regione pidiellino Enzo Ghigo, che pure ha una doppia pensione pubblica, potendo godere anche di quella da ex senatore: circa 7 mila euro complessivamente. Giampiero Leo, esponente di Ncd e storico esponente di Comunione e liberazione, si guarda indietro e non si dà pace: «Ho fatto politica per 40 anni,versando robusti contributi e rinunciando a una carriera in altri settori. Mi direte che posso anche accettare una riduzione del vitalizio da 4.300 a 3.500 euro al mese. Io dico: d’accordo, ma qualcuno mi spieghi perché».È una battaglia che si conduce in punta di diritto. E la decisione del Tar Lazio di dichiarare nei fatti l’incompetenza del giudice amministrativo sulle questioni che riguardano i vitalizi ha frenato i facili entusiasmi dei ricorrenti. L’obiettivo era quello di sollecitare una pronuncia della Corte costituzionale, al fine di rendere illegittimi i provvedimenti sui tagli ai vitalizi. Ora gli ex consiglieri sono alla ricerca di un “giudice naturale” che possa dar loro ragione. E intanto si affidano ad avvocati di grido. In Trentino ha accettato un mandato anche lo studio dell’ex presidente della Consulta (ed ex Guardasigilli) Giovanni Maria Flick, mentre l’ex deputato del Pdl Maurizio Paniz assiste 60 politici veneti ed altrettanti friulani. «E in più ho una consulenza in Piemonte – sottolinea Paniz – La questione etica? Mi soffermo sugli aspetti giuridici del problema: questi provvedimenti non possono essere retroattivi». Fra i suoi assistiti l’ex dc Aldo Bottin, presidente della giunta veneta a metà degli anni ‘90, oggi a capo dell’associazione nazionale ex consiglieri regionali. Il suo stipendio, dopo il taglio, è sceso da 4.100 a 3.700 euro mensili. «Ormai siamo trattati come predatori ma i vitelli grassi stanno altrove – dice Bottin – I consiglieri regionali hanno sempre versato contributi ben più alti dei parlamentari nazionali». Ad aprire la lista dei ricorrenti, in Veneto, c’è il padovano Danilo Sante Riello, 78 anni, una gloriosa attività nel Pci e appena sei mesi in consiglio regionale nel lontano 1980. Una breve esperienza che gli è valso un vitalizio da 3.593 euro al mese. Che non vuole ridotto in alcuna misura. Per carità, Riello è in buona e trasversale compagnia: a difendere la loro “pensione” ci sono gli ex europarlamentari Franco Frigo (Pd), che a Bruxelles sostituì la dimissionaria Serracchiani, ed Amalia Sartori (Fi), finita ai domiciliari per lo scandalo Mose.Perché, sia chiaro, al momento di difendere il vitalizio scompaiono le distinzioni politiche. In Friuli a dare battaglia sono l’ex leghista Pietro Arduini ma pure Ferruccio Saro, che in Senato difese i colori dell’Mpa del sicilianissimo Raffaele Lombardo. Saro, per colpa del taglio, deve restituire 800 dei 6.200 euro percepiti ogni mese. In Lombardia il fenomeno è ancora più evidente: fra i ricorrenti, insieme, l’ex leader di Democrazia proletaria Mario Capanna (5 mila euro per tre pensioni), il leghista Alessandro Patelli (quello che si autodefinì “pirla” per il coinvolgimento in Tangentopoli), e Daniela Benelli, assessore al Comune di Milano di Sel. «Se vinciamo devolvo il 10 per cento alla Caritas», ha fatto sapere la Benelli al partito che l’ha rimbrottata. E che dire del Lazio, dove – accanto a tre ex presidenti di Regione (Santarelli, Montali e Gigli) – figura fra i difensori del vitalizio Peppe Mariano, eletto fra i Verdi. Che ha detto di non potere vivere con 2.500 euro al mese: «Con il taglio non riesco più a pagare il mutuo della casa».Non è che, davanti a questo alzare di scudi di una casta minore, non ci siano state reazioni. Il caso del Trentino Alto Adige è emblematico: lì scoppiò lo scandalo di una legge cucita su misura su 130 ex consiglieri, che regalava loro 90 milioni di euro. Dopo faticosi tentativi di riparare il danno, il consiglio ha approvato una legge che taglia l’importo dei vitalizi. Ma 66 “vittime”, più della metà del totale, si sono rivolti al tribunale. Suscitando la protesta dei sindacati confederali e sitin davanti al palazzo di giustizia. In altre regioni gli stessi ex consiglieri si sono autocensurati. Nelle Marche si contano sulle dita di una mano i ricorsi («Sa, noi per natura non siamo rivoluzionari», dice il presidente dell’associazione Luigi Micci) mentre in Toscana i propositi bellicosi si sono arenati dopo una riunione dei “pensionati”: «La legge prevede che i risparmi derivanti dai tagli andranno in un fondo contro le calamità naturali. Non era il caso di opporci», dice Angelo Passaleva, medico ed ex presidente del consiglio regionale. Solo due colleghi hanno scelto di andare ugualmente dal giudice. Perché anche nella guerra del vitalizio non mancano i “giapponesi”.