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 2015  maggio 20 Mercoledì calendario

La meravigliosa arte di copiare. Il saggio di Luigi Mascheroni sul plagio, lo sport preferito dagli scrittori. Basti pensare che il testo dei testi, Don Chisciotte, nasce, o meglio cresce e diventa quello è, grazie a un’appropriazione indebita

Ma quale paternità artistica! Il romanzo è figlio del plagio. Se pensiamo che il testo dei testi, Don Chisciotte, nasce, o meglio cresce e diventa quello è, grazie a un’appropriazione indebita. Nel 1614, nove anni dopo l’uscita del primo volume, Alonso Fernandez dà alle stampe una continuazione. Miguel de Cervantes non può permettere che qualcun altro si impossessi dell’hidalgo e pubblica nel giro di un anno il secondo tomo, facendo infine morire il folle cavaliere. A scanso di sequel. Poi se ne va anche lui. Non possiamo sapere se avrebbe comunque proseguito la narrazione. Di certo non avrebbe incluso le considerazioni sull’apocrifo che danno al romanzo una dimensione metaletteraria rendendolo un capolavoro fondativo per diversi aspetti.
O almeno credo. Perché dopo avere letto il denso ma godibilissimo saggio di Luigi Mascheroni, Elogio del plagio (Aragno), non sei più sicuro di niente. Non esiste un Adamo letterario, tutti hanno preso qualcosa a qualcun altro e andando a ritroso alla ricerca delle origini di un’opera ci si può fermare solo suicidandosi con un tuffo nel brodo primordiale. Anche perché il concetto di autore e diritto d’autore sono relativamente recenti. E se l’esame del dna ha rovesciato un proverbio (mater semper certa, pater numquam), più si scandaglia la storia letteraria e più si ha l’impressione che ogni testo sia frutto di una gang-bang nell’inchiostro.
L’aumento pazzesco del numero di scrittori e titoli rende statisticamente più probabili quelle che Umberto Eco ha chiamato “coincidenze involontarie”. Accusato di plagio per Il nome della rosa da uno oscuro scrittore cipriota, Kostas Sokrautos, Eco si è appellato a questa categoria ed è stato assolto. Puntuali, con ogni successivo best-seller, sono piovute nuove accuse più o meno deliranti.
Internet e la globalizzazione hanno incentivato la paranoia. Le case editrici sono sommerse di lettere che accusano i loro autori di presunti plagi. Come ha detto Enzo Biagi, se qualcuno non ti accusa di plagio non sei nessuno.
Non dobbiamo però confondere troppo le cose in una notte della narrativa dove tutte le vacche hanno lo stesso colore. Né Mascheroni, firma delle pagine culturali del Giornale, propende per questa tesi pur raccontando una quantità infinita di casi, in Italia e altrove, da Gozzano a David Foster Wallace. Esiste l’onestà intellettuale.
La parodia e i rimandi se sono letterali e non dichiarati restano quello che sono. Non stile ma caduta di stile. Alla quale si è più o meno sempre esposti, specie se gli impegni crescono con la notorietà e ci si affida a collaboratori per raccogliere il materiale o persino a ghost-writer, che prima del politicamente corretto si chiamavano “negri”. Tra i prolifici a volte troppo disinvolti c’è Andrea Camilleri. Autore per Sellerio del romanzo storico Inseguendo un’ombra, sulla figura dell’ebreo convertito Flavio Mitridate, ha pescato a piene mani in un libro di Giulio Busi. Non solo notizie ma anche parti di fantasia. Una svista?
Vittorio Sgarbi, preso in castagna per avere copiato interi passaggi di Mina Bacci in un saggio su Botticelli, se l’è cavata incolpando i ragazzi di bottega. Almeno è stato sincero. O doppiamente disonesto?
Roberto Saviano su Facebook ha commentato sconsolato la sentenza della Corte d’Appello che lo condanna a risarcire due editori napoletani ai cui giornali ha attinto per scrivere Gomorra. Si attende la Cassazione.
Gli articoli sono pubblici, ma se si riprendono senza citare la fonte si fa una scorrettezza vampiristica. Parlando di vampiri, non possiamo non citare Igor Man, a detta di alcuni con fama di qualche “furto” nel mondo del giornalismo: uno, pare, ai danni di Egisto Corradi in Vietnam. Appena rientrato in albergo dopo avere seguito una battaglia, Corradi gli avrebbe raccontato quanto visto, poi è andato a dormire sfinito. Il giorno dopo, chiamato il giornale per annunciare il pezzo, si è sentito rispondere che era già uscito. All’opposto, Montanelli ha ammesso di attribuire aforismi da lui stesso coniati a personaggi famosi.
L’essere umano è una macchina fotocopiatrice. Cresce copiando e a volte non smette. Per istinto. Persino un personaggio straordinario come Dorothy Parker, l’autrice della celebre poesia sul suicidio (Tanto vale vivere), ha tirato un colpo basso a Nabokov – ancora sconosciuto e inedito – scrivendo un racconto per il New Yorker intitolato Lolita. Nessuno è al sicuro.
Ti possono rubare perfino la vita. Un caso emblematico è quello del poeta Stephen Spender che ha raccontato in un’autobiografia la parentesi omosessuale al seguito di un amante partito per la Guerra di Spagna. L’episodio è stato trasformato in romanzo dallo scrittore minimalista David Leavitt. L’editore ha dovuto, in seguito a un’azione legale, ritirare il libro. Spender è così tornato in auge prima di morire e il figlio gli ha chiesto se non fosse una trovata pubblicitaria. Poi certo, la storia se ti chiami Nabokov, ti renderà giustizia. Melania Mazzucco ha scopiazzato alcuni passaggi di Guerra e pace per il romanzo Vita. Il che non ha gli ha impedito di vincere lo Strega.
Il comitato per il Nobel ha avuto dieci anni per premiare Tolstoj prima che morisse senza cogliere l’occasione. E alcuni anni dopo, dietro al suicidio di Majakovskij, c’era l’ombra di un’accusa di plagio (era accusato di avere poesie inedite di Chlebnikov e di averle pubblicate a suo nome, tecnica usata a volte nei regimi comunisti per colpire autori scomodi, vedi vicenda di Danilo Kiš in Jugoslavia). Questo il biglietto d’addio: “Della mia morte non incolpate nessuno e, per favore, non fate pettegolezzi”. “Perdono a tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi”, scriverà Cesare Pavese 20 anni dopo.