La Stampa, 20 maggio 2015
«Il governo ha fatto bene sulle pensioni». Per Tito Boeri, presidente dell’Inps, l’esecutivo si è mosso in fretta e ha preso la decisione giusta perché «se avesse rimborsato tutto a tutti, per i più poveri, non avrebbe di sicuro potuto fare nulla. Noi stiamo lavorando per fare entro il prossimo mese una proposta che serva al contrasto della povertà, dando a questa categoria di persone un reddito minimo garantito»
Tito Boeri, da studioso e da presidente dell’Inps: la decisione del governo di rimborsare solo in parte e solo per i trattamenti più bassi gli arretrati delle pensioni è stata equa?
«Credo che oggi la sfida principale per il Paese sia quella di contrastare la povertà, che ci ritroviamo come eredità negativa della recessione. Una povertà che è aumentata soprattutto nella fascia di età 55-65 anni; gente che il più delle volte non è ancora in pensione e che non ha più lavoro. Se il governo avesse destinato 18 miliardi – secondo i nostri calcoli tanto ci voleva – per restituire integralmente gli arretrati delle pensioni dopo la sentenza della Corte Costituzionale, sarebbe stato molto più difficile fare qualcosa contro la povertà».
Ma cosa risponderebbe a quei tanti pensionati che non hanno certo redditi da nababbi e si sentono beffati dalla scelta di Palazzo Chigi?
«Guardi, innanzitutto vorrei chiarire che queste decisioni non riguardano l’Inps. C’era una scelta molto difficile da fare dati i vincoli dell’indebitamento e l’onere dei 18 miliardi sarebbe gravato quasi interamente sui contribuenti. Il governo, gliene va dato atto, ha agito rapidamente ed ha deciso, cosa rara in Italia. Ora vedremo cosa farà per la povertà, ma se avesse rimborsato tutto a tutti non avrebbe di sicuro potuto fare nulla. Certo è, poi, che nel mondo delle pensioni ci sono situazioni troppo diverse tra di loro, comprese quelle di chi riceve molto più di quanto ha versato come contributi».
Insomma, il conflitto – se di questo si tratta – generazionale, non è solo tra i vecchi pensionati e i giovani che avranno pensioni assai inferiori, ma tra pensionati e chi alla pensione non riesce ad arrivare...
«Prima della crisi del 2007-2008 c’erano 11 milioni di persone in Italia sotto al soglia di povertà. Oggi sono 15 milioni, e proprio nella fascia tra i 55 e i 65 anni c’è stato l’aumento percentuale maggiore, il 70%. Noi stiamo lavorando per fare entro il prossimo mese una proposta che serva al contrasto della povertà, dando a questa categoria di persone un reddito minimo garantito».
Con quali fondi?
«Sarà una proposta che si regge sulle sue gambe. È fattibile perché in quella fascia di età non servono politiche attive; non si deve stare dietro alle persone perché cerchino lavoro, visto che è molto difficile che lo trovino. Sarà una proposta autofinanziata, modificando la struttura dei trasferimenti. Il problema dell’Italia è che ha un sacco di trasferimenti che però arrivano pochissimo a chi ne ha davvero bisogno: al 10% più povero della popolazione, ad esempio, vanno solo il 3% dei trasferimenti totali. Anche escludendo le pensioni le cose non cambiano di molto».
Sulle pensioni stanno arrivando anche altre novità, meno sgradite del rimborso solo parziale degli arretrati....
«Sì, la prima riguarda la data di pagamento. Secondo la legge di stabilità 2015 avremmo dovuto unificare il giorno di pagamento di chi ha più regimi pensionistici – circa 850 mila persone – al 10 del mese. Noi abbiamo lavorato per far sì che tutte le pensioni, da giugno, siano pagate il primo del mese. Il Tesoro, però, non poteva perdere gli interessi così abbiamo fatto un accordo con le Poste, l’Abi e le banche: noi paghiamo all’inizio del mese 4 miliardi di pensioni; loro in cambio ci abbattono il costo dei bonifici. Così nessuno perde nulla e i pensionati vengono pagati prima».
Ma davvero è così importante anticipare le pensioni al primo del mese? Gli assegni restano uguali.
«Sappiamo che ci sono pensionati che hanno forti problemi di liquidità, quindi spostare anche solo di 10 giorni la data di pagamento sarebbe stato un problema. Adesso il primo del mese le famiglie italiane sapranno che arrivano le pensioni, peraltro tutte in un solo bonifico. È un dato molto utile per pianificare le spese, visto che la maggior parte delle bollette e delle scadenze sono a fine o a inizio mese».
Intanto quest’anno i contributi versati da tutti noi rischiavano di ridursi invece che di rivalutarsi...
«Sì, la rivalutazione si calcola sulla media mobile del Pil nominale degli ultimi cinque anni e questo sarebbe stato il primo anno in cui al rivalutazione del montante, invece di essere positiva, sarebbe stata negativa con un effetto anche psicologico pesante: ci si sarebbe ritrovati con meno di quanto si era versato. Abbiamo trovato una soluzione tampone per cui quest’anno la rivalutazione sarà zero e non negativa; poi si recupererà tagliando un po’ le rivalutazioni dei prossimi anni. Ma bisogna trovare una soluzione strutturale, magari allungando il periodo su cui si calcola la media».
Il governo prevede modifiche alla riforma Fornero, consentendo di andare prima in pensione con un trattamento ridotto. Come accadrà?
«Anche qui a giugno faremo una proposta completa. C’è un paradosso evidente: adesso stiamo irrigidendo le regole di uscita, innalzando i requisiti, mentre quando passeremo al contributivo puro avremo più flessibilità, che sarà sostenibile. Il problema è che negli Anni ’90, quando è stato introdotto il sistema contributivo, si sarebbe dovuto applicare subito pro rata anche a chi aveva il retributivo, senza consentire a chi aveva più di 18 anni di versamenti con il retributivo di mantenere questo sistema più vantaggioso. Ora paghiamo i conti di quelle scelte».
Scelte dettate dal consenso politico, ovviamente.
«C’è stata una forma di viltà della classe politica. Anche evitare di dire che il sistema contributivo è meno generoso è stata una forma di viltà».
Ci sono altri punti della riforma Fornero che secondo lei vanno modificati?
«Tante cose, non solo della riforma Fornero, vanno messe a punto. Ad esempio serve una maggiore unificazione dei trattamenti, che permetta di mettere insieme i contributi tra prestazioni diverse. L’istituto della ricongiunzione onerosa va riesaminato: non è giusto far pagare chi ha delle carriere mobili che passano magari dal pubblico al privato».
Di fronte ai rimborsi limitati si staglia il caso dei vitalizi dei parlamentari, con casi di divergenze stratosferiche tra i contributi versati e i soldi ricevuti.
«Quello dei vitalizi dei politici è un campo in cui l’Inps non c’entra direttamente, ma su cui vogliamo fare luce. L’operazione trasparenza che abbiamo già avviato su alcune gestioni speciali non lascerà fuori nessuno. Anche se questo in questo caso sarà più difficile vogliamo arrivare a rendere pubblici anche i dati dei politici».
Si farà moltissimi amici...
«Me ne sono già fatti molti».