La Stampa, 20 maggio 2015
Un’altra promessa popolare difficile da mantenere: «Chi vuole potrà lasciare il lavoro prima». Con questa proposta Renzi ha addolcito la pillola amara dei rimborsi. Realizzarla, tecnicamente è facile ma il guaio è che si rischia di aprire un vaso di Pandora: le aziende che vogliono liberarsi dei dipendenti più anziani sono tante, e metterli a carico dell’Inps (ovvero dei contribuenti) per loro sarebbe l’ideale, tanto più che i sindacati sarebbero felici di cooperare sempre che vogliano far tornare i conti
Le elezioni sono vicine, e il voto degli anziani conta (specie in Liguria?). Dato che non c’erano i soldi per rispondere alle attese sollevate dalla sentenza della Corte Costituzionale, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha preso ieri l’altro una decisione impopolare ma responsabile. Però cerca di compensarla con una promessa popolarissima: chi vuole potrà lasciare il lavoro prima.
Concedere una scelta flessibile dell’età di pensione, tecnicamente, è facile. Per primo l’aveva proposto il presidente dell’Inps Tito Boeri, economista esperto di queste materie.
Va incontro alle disparate esigenze delle persone: si sa bene che alcuni vorrebbero mettersi a riposo il più presto possibile, mentre altri mai (i professori universitari, ad esempio).
Il guaio è che si rischia di aprire quello che con una consunta metafora si chiamerebbe un vaso di Pandora. Ovvero di mettere in moto un processo che non si sa dove può finire; perché poi le aziende che vogliono liberarsi dei dipendenti più anziani sono tante, e metterli a carico dell’Inps (ovvero dei contribuenti) per loro sarebbe l’ideale, tanto più che i sindacati sarebbero felici di cooperare.
In linea di principio la faccenda pare semplice. Chi vuole lasciare il lavoro prima dell’età oggi obbligatoria per tutti riceverebbe (per sempre, non solo per i primi anni) una pensione decurtata. Fin qui sono tutti d’accordo. Ma decurtata quanto? I «trenta euro in meno» a cui ha accennato ieri il presidente del consiglio non rendono affatto l’idea.
Se si vogliono far tornare i conti, il taglio dev’essere alto. Il sistema contributivo di calcolo consente di realizzare la flessibilità in modo trasparente. Ma – semplificando – significa che se invece di lasciare a 67 anni, mettiamo, con 40 anni di contributi, si va via a 62, gli anni di contributi sono 35, un ottavo in meno; e inoltre l’Inps deve mettere in conto 5 anni in più di pagamenti.
Di proposte per l’età flessibile infatti ne giacciono già, nelle commissioni Lavoro di Camera e Senato; sono troppo generose. Se il governo si vanta di aver «recuperato credibilità nell’Unione europea» attuando solo parzialmente la sentenza della Consulta (e un grande giurista come Sabino Cassese, ex giudice costituzionale, dice che va bene così), la linea deve restare quella.
Va detto ancora una volta che i conti dell’Inps tornano solo da quando c’è la legge Fornero: impopolare, marchiata dal grave errore iniziale sugli «esodati», eppure ben congegnata nei meccanismi. Fu troppo brusca perché doveva porre rimedio ad anni di riforme a metà, di furbizie per scaricare l’impopolarità sulla legislatura successiva, di ritorni indietro, di demagogici rinvii.
Quella legge fu approvata d’urgenza (anche da partiti che ora la criticano) sotto l’incubo della bancarotta dell’Italia. Può essere ora aggiustata, ma non si possono inventare soldi che non ci sono. Oppure occorre aumentare le tasse. L’attuale governo greco, ad esempio, sembra preferire un aggravio dell’Iva a un riequilibrio del sistema previdenziale. Chi vuole questo, lo dica.
Solo all’apparenza mandare la gente in pensione prima apre posti per i giovani. È così, certo, nei calcoli che può fare ogni singolo imprenditore. Ma poi la maggior spesa dell’Inps si tradurrebbe in nuovi aggravi per il sistema produttivo nel suo insieme, probabilmente in più tasse anche per quella stessa impresa. È giusto concedere a chi vuole di riposare prima, però senza oneri per gli altri.